V.S.Gaudio ░ La Stimmung con Marguerite Duras per Nadia Campana



LE SCARPE DI NADIELLA
La Stimmung con Marguerite DurasEmily L.





1

Le scarpe che avevi
quelle che avevi sempre portato
a poco a poco si trovavano
sempre meno in commercio
anzi quando non le trovasti
più del tutto le pitturasti
ma una venne su
con un colore diverso e ti disse, Silvia,
al “Burghy”, o al “McDonald’s”, se c’era allora a Bologna:
“Che cos’hai fatto alle scarpe?
Hanno un colore diverso”
e mi parve che il cielo fosse perfetto
non potendo avere questa terra
adesso che non si trovano più del tutto
che  le tue scarpe non erano state fatte
a Southampton, come quelle di Emily L.
e adesso queste benedette scarpe
dove andremo a comprarle
se c’è l’ampiezza di casa – the Latitude of Home –
che renderà infinita la notte e la piazza
gremita di cherubini e serafini
non silenziosi invitati questi sponsali
un paradiso li ospitava
per il comizio di Ingrao
non si può vedere se è l’altra sponda
che accoglie il tramonto
il riflesso rosso non entra nella sala del caffè
né trascorre sui muri, sullo specchio
su quelle persone, sulle loro forme immobili
non si può sapere se il tramonto
possa entrare nella piazza
anche se in qualche modo entra
nei tuoi occhi ridenti
la piazza è tornata vuota, tranne due ragazzini
in bicicletta che sono sbucati da via D’Azeglio
una parte del cielo si è fatta plumbea
il cielo al disopra del Reno
con un temporale dentro, molto in alto
e lento, prima che si fermasse
a quell’ora quando la luce aveva perso
il suo fulgore, e non si separava
nettamente dall’ombra
né abbiamo parlato della luce
dell’altopiano



2

questi amanti incorporei s’incontravano
col cielo nello sguardo
A Heaven of Heavens – The Privilege
of one another’s Eyes –
l’anima è per se stessa
un amico imperiale –
o la spia più temibile
che possa un nemico inviare –
come la sera che arriva
inevitabile, lenta, a strati successivi
dietro le file dei lampioni,
lungo le strade di Le Havre sull’altra riva
e qui, come a Quillebeuf
quella luce del cielo
non era il chiarore della notte
il fiume trascorreva nelle acque del mare
ma qui non sai nemmeno dove sia
o che è diventato nero il fiume
e non puoi sapere se le sue acque
siano calme, né puoi di certo dire
che le grandi corde liquide dell’onda
tese da una riva all’altra
ne vietino l’accesso al mare
3

per di più, le scarpe, il modello,
con cui andasti a Milano, quelle erano state il massimo
per di più, ricordavano molto
il solito modello che ti piaceva tanto
“Ti manderò le stringhe delle mie scarpe”
come se avessi detto
“I’ll send the feather from my Hat!”
“Ti manderò la piuma del mio cappello!”[1]
così come aveva detto Emily Dickinson
all’inizio della 687 che non hai tradotto

4

di notte – di là ampiezze aurorali
a un tratto si sarebbero aperte
agli uomini in piazza
è questo – avrebbe detto Ingrao –
and Witchcraft –
la natura riserva allo iodio un grado speciale
ma qui non ci sono alberi
solo qualche piccolo pero sparuto
agli angoli dei campi appena fuori le mura
sui battelli delle Cicladi indonesiane
e dell’arcipelago di Natuna, sugli yacht,
le giunche, e anche sulle navi di linea
di notte c’era molta gente sveglia
l’equatore era vicino
e su quelle navi si festeggiava sempre
il momento del passaggio

5

ma dove si sarebbe potuto farle fare
col colore giusto, queste benedette scarpe?
Dove mettersi ad aspettarle per tutto un anno,
il tempo che occorreva per farle e il tempo
che occorreva perché la vernice si asciugasse?
del resto le scarpe nuove
quelle che portavi a Milano
in primavera con quella luce
che adesso non si trova più del tutto
prima che un senso di perdita
opprimesse la nostra gioia
e l’aria dall’aria fu tolta
e divisa fu la luce
e forzata fu la fiamma
e forse nell’intimo dell’anima
le scarpe che hanno l’arte di allietare
l’anima con quel senso vasto di finito
erano quelle del modello
che porta la figura di Bellmer
che io già conoscevo per “L’Histoire de l’Oeil” di Bataille
ma che avrei riconosciuto dopo lustri
in Valérie Andesmas
che, per attraversare la piazza come fa lei[2],
in quel meriggio d’estate non può che
avere le scarpe che avevi tu, in primavera,
in quella precisa contingenza
in cui non moderavi niente
né precipitazione né lentezza
lasciavi tutto allo stato di apparizione,
o quelle che voleva Emily L.
quelle che aveva sempre portato
e che a poco a poco le aveva
trovate sempre meno in commercio


6

“Con queste scarpe”, rispondesti a Silvia
“giungo puntuale alla città”
anche perché i tuoi piedi
non erano come quelli di Emily L.
che col tempo erano diventati delicati
e doveva mettere dei sandaletti da bambina
perché le scarpe nuove, adesso che la ditta
di Southampton era fallita, e non si poteva
aspettare che le facessero su misura
in qualche altro posto[3],
le avrebbero ferito i piedi
prendendo strade diverse per andare a Quillebeuf
anche se poi, alla fine, si faceva sempre
una sola strada, quella che passava per Pont-Audemer
attraverso le piazze di questa città
girando a sinistra verso occidente
invece di prendere dritto
su per la strada che taglia l’altopiano


7

accanto a quel maggio
sapevi che ce n’era un altro
di maggio per camminarci tranquilla
senza inveire, contro la gente, il fiume, il cielo
una sera di maggio in una piazza
dove parla Ingrao non è come camminare
nei boschi,
non è all’uscita dalla foresta
un gran pianoro sferzato dal vento
spoglio, un prato sterile, brullo, sconfinato
del resto quelle scarpe che avevi
le avevi da dieci anni, si erano consumate
e giacché non le avevi trovate in commercio
le avevi riverniciate
per di più ricordavano molto il solito modello
che ti piaceva tanto
e che – mi avevi detto più tardi –
“erano state fatte a Southampton e la ditta
di Southampton – quando Ingrao parlava
in piazza – era fallita. Questa era la situazione”.
“Adesso – aggiungesti – potrei farle fare
su misura in qualche altro posto, d’accordo,
ma dove aspettarle, queste benedette scarpe?
Dove mettermi ad aspettarle per tutto
un anno, il tempo che occorre per poterle fare?”

8

Fu allora che,
non avendo il cappello con le piume
della 687 di Emily Dickinson che anni dopo
non avresti tradotto,
ti togliesti le scarpe
e, dicendo “Un cuore troppo gravato
spesso si muove a stento”, traducesti
quattro anni prima senza saperlo
la 688 di Emily L.[4]


9

quattro anni dopo, Emily L. era ancora giovane
anche lei aveva uno sguardo grigio molto largo
molto profondo, abbronzata dal sole, con un
vestito estivo bianco e blu
guardava il libro senza capire
che era stato suo padre a pubblicare
diciannove poesie, senza quella
dell’angolo di luce
dei pomeriggi d’inverno
che, come disse Ingrao, in piazza a maggio
ha il sole di un giallo iodato, sanguigno
e i suoi raggi sono come spade celesti
che trafiggono il cuore senza lasciare cicatrici
senza lasciare alcuna traccia
tranne quella di una differenza
interna nel cuore dei significati


10

quattro anni dopo gli aveva scritto una lettera:
“Ho dimenticato il colore delle scarpe.
Lo sapevo. Ma l’ho dimenticato, e ora ti parlo
nell’oblio di quel momento.
Contrariamente a tutte le apparenze,
non sono come Silvia che ti tocca il ginocchio
sotto il tavolo, né ricordo se la sequenza
fu interrotta per parlare delle scarpe
né se ritrovando il posto, le parole,
potrei ricordare il modello delle scarpe
per conservare dentro di sé lo spazio
di un’attesa, non si sa mai, l’attesa di un amore,
di un amore forse ancora senza oggetto, è bene
che le scarpe non abbiano un colore diverso
l’una dall’altra
né che le scarpe diventino, in quell’attesa,
l’aspetto esteriore di una vita,
quello che io non vedo mai ma che Silvia vide
posando la mano sul tuo ginocchio
in quello stato di sconosciuto da me quale
tu diventasti fino alla mia morte.
Non rispondermi mai, non conservare
la speranza di vedermi con quelle scarpe,
il modello di Southampton, o quello di Bellmer.
L’amore è terribile, perché la sua storia
la conosci quando sarà finita, anche quando
non è mai cominciata,
e il suo sentimento lo cogli dal di fuori
quando non saprai più niente”.


11

le scarpe con cui andasti a Milano
quelle con le stringhe che arrivavano sempre prima
non necessariamente alla svelta,
in fretta e furia
ma secondo il ritmo di chi le portava
il ritmo del momento che si attraversa
personalmente, in quella precisa contingenza
quella primavera in cui non avevi tolto niente
al tuo ritmo né niente avevi moderato
né precipitazione né lentezza
lasciando tutto allo stato di apparizione

la città, l’avevi sempre ritrovata con piacere
come se Bologna fosse per te il mare
e le scarpe riverniciate avessero il sapore
della vernice della barca appena percettibile
quella sospensione del rumore, della luce
una pausa nel viavai delle automobili
come se le traversate fossero più rare, la sera
e la frequenza dei traghetti diversa
in quel caffè che a Milano non è mai sulla piazza
come a Quillebeuf o a Bologna
tutti quelli che vedemmo li dimenticammo
non solo nei bar, o sugli autobus
non si è mai lontani dall’altopiano
dopo una fitta macchia di arbusti
non arrivi nel vuoto
di quello che potremmo chiamare
la fabbrica tedesca, immensa, sventrata, con i vetri distrutti
la sera, Milano non è neppure percorsa
dal sibilo del vento
né la Senna è qui, subito dopo la fabbrica
c’era un punto nel quale ritornammo spesso
come se guardando le luci di Le Havre
e parlando di quella gente del Convegno
un’ultima petroliera ci passasse davanti
i ponti illuminati in piena notte
e in quel punto in cui ritornammo spesso

tu con le scarpe del modello di Bellmer
dopo aver camminato a lungo
sui sentieri della giovane Emily L.
fosse autunno e faceva bel tempo a Milano


12

di notte – c’era molta gente sveglia
sui battelli, sugli yacht, le giunche,
e anche sulle navi di linea,
l’equatore era solo a 45°28’
ma per festeggiare sempre
il momento del passaggio al parallelo
ritornavamo spesso in quel punto
con le scarpe con cui andasti a Milano[5]
quelle con le stringhe nella notte immobile
in cui il fiume trascorreva nelle acque del mare
che era a Bologna e che, non c’era dubbio,
non ci eravamo sbagliati, era ancora giorno
quella luce nel cielo non era il chiarore della notte
era aprile a Milano
nella sua precisa contingenza,
in cui non bisogna moderare niente,
né precipitazione né lentezza –
tutto è lasciato allo stato di apparizione

( 21, 22 e 23 settembre 2004)



[1] Anche se sul finir del secolo (XX), Alessandro Dell’Acqua mise in commercio per 765.000 lire un paio di scarpe in pelle e piume attorno al cinturino…Ma, ne sono certo, N. avrebbe scelto il modello di Alessandro Zanolli design, che aveva, sempre sul tacco altissimo, il cinturino a gambaletto a due fasce, che si allacciava dietro in 16-18 occhielli. O forse una scarpa Cacharel, con tacchi 5 pollici, che, laddove sta il tirante nello stivaletto o nella polacchina, c’era un gancio che tendeva una cinturina-fascia caviglia, larga almeno 7 centimetri. Ma questi modelli di scarpa decolleté avrebbe potuto usarli a maggio a Bologna, nella primavera piena di un “comizio rosso” ormai a crepuscolo avanzato.
[2] «“E il giorno dopo, mentre stavo alla finestra […], e guardavo la piazza, era vicino mezzogiorno,ecco che ho visto Valérie. […] Valérie è sbucata sulla piazza. […] Dunque ha attraversato la piazza come le dicevo. Due uomini, l’hanno vista dopo di me, si sono fermati per guardarla camminare. Lei camminava, la piazza è grande, camminava, l’attraversava, l’attraversava. Senza fine, ha camminato la sua bambina, signor Andesmas”. Il signor Andesmas rialzò la testa e contemplò insieme alla donna il passaggio di Valérie, un anno prma quando ancora ignorava lo splendore della sua andatura, nella luce della piazza del paese»: Marguerite Duras, Il pomeriggio del signor Andesmas [1962], trad. it. Einaudi, Torino 1997: pagg. 43-44.
Per «L’aria [che] esplose nella voragine di luce» (ibidem), cfr. la “claritate” con cui, pur non essendo bionda come Valérie, Nadiella faceva tremare l’âre, in: V.S. Gaudio, La Stimmung con Emily Dickinson, In memoria di Nadiella Campana, © 2004: leggila in la stanza di nightingale, dove è apparsa nel gennaio del 2010.
[3] Avrebbe potuto farsele fare dalla Usine de Chaussures G. Houcke di Excideuil, il luogo in cui nacque il grande medico della sifilide e della “morte apparente” Jules Parrot. All’usine di G. Houcke avrebbe potuto rivolgersi anche Emily L. per les pieds sensibles o, sempre ad Excideuil, in Dordogne, alle Chaussures Cathy, altro spécialiste pieds sensibles, in rue Jean-Jaurès. A Excideuil andò probabilmente anche la Nancy di Ezra Pound:
Nancy where art thou?
Whither go all the vair and the cisclatons
and the wave pattern runs in the stone
on the high parapet (Excideuil)”: E.P., Pisan Cantos, LXXX.
[4] La 688 di Emily Dickinson è questa:
Speech” – is a prank of Parliament
Tears” – a trick of the nerve
But the Heart with the heaviest freight on –
Does’nt – always – move –
Con questa traduzione apparve in Emily Dickinson, Le stanze d’alabastro, a cura di Nadia Campana, Feltrinelli, Milano 1983:
“Discorsi”: una trovata dei parlamenti.
“Lacrime”: espediente dei nervi.
Ma un cuore troppo gravato
Spesso si muove a stento.
[5] Il modello che ho chiamato “Bellmer”, ma che potrebbe essere ridenominato “Bellmer-Bataille” o “Bellmer-Oeil”, era anche in una foto di Helmut Newton, in cui la figura, che porta questo stivaletto, è inginocchiata accanto al letto e uno specchio-oblò fa pensare al momento del passaggio all’equatore o, meglio, al parallelo di Milano, 45°28’ a nord dell’equatore, che è l’angolo giusto della piramide visiva, alla base degli impatti estetici di Resnik (cfr. Salomon Resnik, Sul fantastico, 2. Impatti estetici, Bollati Boringhieri, Torino 1996: nota 9 a pag. 16; cfr. anche V.S. Gaudio, Body Page. L’assolutezza anonima del paradigma sentimentale, © 2002).
Questo modello, se proprio vogliamo essere più precisi, fa tanto Toulouse-Lautrec: è il modello che porta la Goulue in “Moulin Rouge” (1890, Philadelphia Museum of Art). Insomma, il modello Quadrille o Belle époque, stesso colore degli stivaletti del dipinto, in cui scrisse Giorgio Caproni, c’è «la summa di tutto quel suo [di Toulouse-Lautrec] saper cogliere, nella donna in particolar modo, sull’intera gamma delle sue seduzioni, non tanto il fiore della bellezza in senso classico o idealizzante, bensì il fiore più segreto della sua interna e primigenia vitalità, popolaresca e quasi animalesca nella danzatrice del Moulin Rouge […], brillante e pungentissima nell’infiocchettata e profumata “pariginità” di Marcelle Lender [la Goulue] che, dal fondo quasi vespertino del quadro, lancia in faccia allo spettatore, come un grosso garofano di fuoco, la scampanata  e la sventagliata vampa della sottogonna spalancata dalla giravolta del bolero» (G. Caproni, Una “Recherche” all’indicativo presente, in Toulouse-Lautrec, Rizzoli / Skira, Milano 2003).

Le scarpe di Nadiella 
V.S.Gaudio, La Stimmung con Marguerite Duras, Emily L.
 in "Lunarionuovo" nuova serie n.9, aprile 2005