Il telegramma dimenticato
di Nadiella)
In
memoria di Nadia Campana
a
30 anni dalla sua scomparsa
e
a 36 anni dal suo perduto telegramma
Ricordo che faceva caldo quando
ricevetti quel telegramma di Nadia. E ricordo che ero nella controra in via
Alfieri a Torino e, con il telegramma in mano, entrai ai Telefoni di Stato e le
telefonai a Bologna in via Barberia 15 allo 051-237809.
E le compagne di studi, c’era anche la
figlia di Giampaolo Piccari, quello che faceva “Quinta Generazione” a Forlì,
forse fu proprio lei a rispondermi quel giorno e mi disse che non c’era. Ed ero
incazzatissimo. Tanto che mi misi, poi, a parlare, con uno dei centralinisti
dei Telefoni di Stato, del telegramma che mi aveva fatto.
Palazzo delle Poste e Telegrafi -Torino via Alfieri |
Io, adesso, non so proprio che cazzo
avesse scritto in quel telegramma Nadia, ma ricordo che ero incazzato. E vedere
Gaudio incazzato nella città dell’esemplare unico sabaudo era praticamente
impossibile negli anni di piombo. Tanto che anche i centralinisti, ai Telefoni
di Stato[ che mi conoscevano bene per via del fatto che usavo il topos per fare
le comunicazioni “R” con alcuni giornali dell’Editoriale del Corriere della
Sera], erano addolorati o quantomeno sconcertati nel vedermi così incazzato.
Quel telegramma sarà ancora deposto da
qualche parte, o è andato perduto, forse l’avrò abbandonato nella mansarda
quando all’improvviso abbandonai Torino, o l’avrò messo tra chissà quali carte
o l’avrò bruciato come la lettera d’amore tanto Heimlich d’una tacita amante.
Io ricordo l’aria che c’era quel
pomeriggio in via Alfieri ed eravamo nel mese di giugno, forse come oggi che
scrivo e so che tutt’intero ero pervaso dall’unico esemplare sabaudo, col suo
vestitino col cinturino nero e gli occhiali da sole, e quel pondus e quel
passo, con quel passo non dimenticherò mai le pietre di Torino, la Cittadella,
la densa esistenza di quel podice sabaudo sotto i portici di via Cernaia, dove,
spesso, incrociavo Bruno Lauzi, e vedevo già da lontano la sua chitarra,
scendeva a Porta Susa per andare a registrare in Rai in via Verdi.
C’erano terre di nessuno come placide
insenature, le nostalgie navigavano in cielo, nella controra a Torino spesso
prima di arrivare in via Po da Piazza Castello ero come al circo un acrobata
che si prepara all’ardito tuffo nel vuoto, di là c’è il mare questa dolorosa
dolcezza d’acqua sentivo addosso lentamente fino alle lacrime, un uomo, quando
riceve un telegramma fra notte e silenzio, tra spade e tripudio del cielo, tra
solstizio e l’elicottero di Agnelli, non è più un poeta; ero dimagrito molto,
ricordi?[mi mancava il triptofano, lo sai no?, per via di quella storia finita
com’è finita con la ginnasta russa e anche adesso che me la meno alla Platone,
io che son della terra di Pitagora, con la nipote di un noto politico della
Democrazia Cristiana che non è proprio il partito che mi fa venire l’erizzo,
anche con tutti gli amminoacidi essenziali a posto] Per questo galleggiavo per
le vie di Torino leggero e nel mio cuore passavano le navi nel deserto.
Feci leggere il telegramma anche alla
mia amica centralinista, e le chiesi se si può dire questo a un poeta, e lei
aveva un vestito di color bianco azzurro e le guardai i seni colmi e forse le
dissi parlerò per te in tre lingue: uretrale, fallico e francese.
E ricordo che lei si mise a piangere,
questo lo ricordo, ma non ricordo niente, né una parola, nemmeno il paradigma
del tuo telegramma, e la mia amica mi disse: “Ma a che serve tutto questo
morderti l’anima se poi non potrà mai strapparti i …?”
Io – questo lo ricordo – le guardai le
mani, aveva mani che sapevano di utero e
seni e fu per questo forse che le dissi: “Ti pare che ci siano donne a Torino
ad aspettare sotto il davanzale il mio prepuzio?”
Tanto che lei fu allora che si mise a
ridere e ce ne andammo poi, ‘chè il suo turno era finito, a prenderci un gelato
da “Fiorio” in via Po, con la gioia a pelo dell’acqua per me; e il gaudio a
pelo del podice per lei.