Lino Matti, Gas, pref. di
Fernanda Pivano, Edizioni il Formichiere, Milano 1974 |
LEBENSWELT
│Ó
v.s.gaudio│
LEBENSWELT │Ó
v.s.gaudio│Esce, quasi contemporaneamente,
prima
su“gaudia
2.0” e,
dopo, il 16 aprile, su “blueblow” ; il 19 aprile, su "lunarionuovo"□
|
Lebenswelt con Lino Matti sulla navigazione
dell’oggetto a [i]
Tutto il giorno cicale disse Warren segano ai
piedi dell’infinito
e la segatura come un albero di quello sforzo
incessante accesa dal sole
s’accumula alla base ed è limaglia d’ottone, e
questo è il giorno
disse Robert Penn Warren e Gramsci’s St. è la
strada più sporca del mondo
con l’odore della pece bruciata e il salmastro
e la polvere e il traffico
e tutte le puttane di questo mondo sulla rotta Genova Sant'Antioco
senza che si possa pensare ch’io sia un po’
tabarchino se poi di soppiatto
farò un salto all’isola di San Pietro per via
del baccalà senza che per questo
non ci sia quella stupida che vuole farmi
vedere il suo cane e lei mi dice
che il suo cane è cattivo e morde e che i cani
vanno trattati
da cani non come gli scalzacani e il Brindisino quando camminavo
lentamente nella campagna ai lati
interminabili siepi di fichi d’india
che sembrava ‘u munzill’i petrë di mia Nonna
dello Zen quando
il sole
alto e forte e di là un contadino che pare la reincarnazione
di Salvatore Giuliano col fucile a tracolla tanto
che gli chiedo se
poi verrò a prendere i fichi d’india e lui che
mi risponde cati’ pungi,
aja sapè còglë, ‘i
saj còglë? Intanto
che ci sei
pigliati l’acina, l’uva che sembri un morto di
fame, da quale guerra
vieni e non sai dove andare a farti inculare a
pisciare nella cenere
e un mucchio di altre cose che era un vero
stracarico di merdosità
antiche dentro e tramandate per generazioni e
pigliati, ciutu da quale
pizz’i munnë vènë, pigliati l’uva per i campi intorno tanti
grappoli dorati splendenti sotto quel sole
forte e chiaro non ne tocco
un solo chicco anche quando due gendarmi di
ronda incrociarono
i nostri passi e guardano quello che è Salvatore
Giuliano si guardano
tutti e tre in silenzio negli occhi e forse si
conoscono e si capiscono
una segreta intesa fatta di cose non dette di
cose che lì stanno
scritte dove se non nelle carte di mio nonno
che mi lasciarono
e in quelle notti illuni bruciava chi mi faceva
da madre
quando la campagna è buia e silenziosa e l’acredine
per la fame lavora comunque se la intendono
come
deve essere l’intesa fra morti di fame
analfabeti che
hanno più carte loro del notaio che era di
Civita
sono quelle cose eternamente segrete ognuno per
la propria strada
e in cieli ma quali servi della gleba qui ti
inculano
che i giocosi intrecci di Sodoma e Gomorra e a
pensarci
bene non è che a Sibari non fornicassero
quantomeno
si dice che bevevano di brutto così che avevano
una
conduttura di vino che fin laggiù sullo Ionio
dal
Tirreno, e poi per questo arrivarono quelli del
Clan di Cutolo dalla provincia di Salerno o
dalla città stessa
che è lì che vanno tutti i 740 della Culabria
dove non manca
il formaggio e il vino forte che se non lo bevi
subito
d’un fiato poi non c’è nessuna deliziosa verità
da cantare
anche nel 1951 altro che neorealismo tutti sono rimasti
a Sant’Antioco e fuori piove e la baracca è
piena di merda
e di gente e di bestie ed è tutto un odore di
birra e di sudore
in quale romanzo arriva a questo punto una che
dice di essere sposata
e che è scappata di casa e ha diciott’anni ed è
pulita e dice e mi dice come
quella ragazza che bionda sul treno lungo l’Adriatico
scendendo
verso il sole al mattino nella mia Lebenswelt
volgendo il dorso al finestrino mi guardò come
se fossimo
appena usciti stremati dall’orgasmo
e la nave scivola silenziosa
sull’acqua il turno è finito e le stelle che da
tempo non vedevo
così grandi e così grande è la luna e quel
fottuto d’un Brindisino
con cui continuo a bere birra una birra
olandese di prim’ordine
quando gli dico che non mi piace andare per
mare
il mare mi fa vomitare non riesco a stare in
equilibrio
in una barca anche se c’è quel provetto
marinaio che
era mio suocero
o quella grande nostroma della
figlia
insomma dove vuoi andare scendi allora a
Carloforte
e per un po’ te ne stai lì a leggerti Kafka,
Joyce, Whitman,
Henry Miller, Beckett e anche Hemingway e ti
fai pugnette
di continuo e continui e di sopra e continui di
sotto succederà
qualcosa e lentamente il tempo passa e non
succede niente
il Brindisino, che forse era di S. Vito dei
Normanni, è ormai partito
e io
bevo ancora finché non leggo più e di
nuovo c’è la luna bianca
che rivedo quella che di spalle sul treno il
vento nei capelli
una ragazza bionda e mesomorfa, ma del
mesomorfo che
c’era negli anni settanta, mica come adesso che
se dici mesomorfa
Maria Sharapova |
come minimo è una bionda alla Maria Sharapova e
tu la guardi e adesso
come faccio con questa potremmo mai scivolare
abbracciati
nell’acqua e poi scapperà di giorno nei boschi
e poi la sera a dormire
con gli uomini con la luna che splende
lungamente sul suo viso
e lei risponde ai baci allungati sulla sabbia
mi racconta ancora di lei
nel suo paese e poi all’improvviso il Brindisino
mi prende per i capelli
e mi colpisce : “bastardo” urla e calcia finché lei che
forse era
davvero Maria Sharapova gli dà un calcio nelle
palle e quel fottuto ancora
mi prende per i capelli e la bionda con un
cazzotto lo stende
non ho la forza di reagire e guardo lontano e
penso che Oh Dio
che sventola la bionda e ho lacrime più grosse
degli occhi e poi la notte finisce
tanto che riparto stasera e del Brindisino non voglio
saperne
più forse resto qui un altro mese un altro anno
un altro secolo
a Carloforte forse mai uscirò dalla mia strada
per evitare simili cose
anche se evitabili, disse Beckett, no,
semplicemente starò qui
a farmi
pugnette verso qualcosa, sebbene non sia l’oggetto “a”
su una strada verso qualcosa, ma semplicemente
sul treno,
sulla mia strada quella bionda il cui dorso
volge all’alba e lei
è una di quelle mesomorfe come c’erano negli
anni settanta
semplicemente non uscivano dalla loro strada,
verso qualcosa
verso il loro (-phi) così come si vede aggredita dal vento
nei capelli identità sporca e bionda che ha
sempre un principio
che assolutizza lo scetticismo di Protagora,
e quando c’è timore di nascondere la scelta
volge la schiena all’alba, il suo podice di già
nel crepuscolo
conta le presunzioni del reale[ii] ⁞ by v.s. gaudio
V.S.Gaudio, Due concrezioni del 1976,
in: Idem, Lavori dal desiderio, Guanda, Milano 1978.
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