Simone Dauffe, la ventunenne
ectomorfa, si fa mousser le créateur le dimanche standosene a letto, anche se abita a
Chambéry-le-haut e il y a le marché du dimanche matin.
Elle sonne
son carillon a soixante-dix coups alla volta:
pensa che la stia suonando il
batacchio di un uomo adulto che alla Fête Médiévale le ha fatto carilloner le
Calibistrix in un incontro pubblico in cui ha sentito l’enormità del suo désir,
una sorta di 4° grado erettivo in un eretismo fantasmato durato almeno un paio
d’ore.
Avviene che in una domenica
particolare gli stringe tanto il cazzo all’uomo fantasmato,le serre de près le
cas, che gli fa siffler les oreilles, gli fa zufolare le orecchie:
non fa che pensare all’emboîtage, all’emboîter, tanto che
fa siffler, emboîter, les
oreilles du désiré.
Simone fa venire in mente il fatto che
i delfini godano nell’essere chiamati “Simon” e i 32 segnali, i clics del delfino, il sonar.
A Chambéry-le-haut, pertanto, le
dimanche, quando le Grand Carillon tace, è il Sonar di Simone, il suo
Calibistrix, che è sconquassato, chambardé a tutto spiano, con suonate
calibrate sulla sequenza del 32, tanto che avviene che il Bonheur-double faccia
siffler les oreilles sia a Simone che al suo fantasmato che, in questa
reciprocità delfinica, le sta sconquassando le Calibistrix con il battaglio.
In argot, “Dauffe” è lo strumento di
effrazione, le “coup de pouce”, che rinvia ai verbi
proairetici “mettre”, “planter”, ”percher”, ”caser”, ”poster”, ”flaquer”, ”coller”, ”ficher”, ”fourrer”: i verbi dell’esquintement, du bris che le Dauphin de Simone sta usando: il “minchione magico
ultrasonico” del Poeta e il Calibistrix di Simone: il concerto della domenica a
Chambéery-le-haut, ma della domenica in cui nel bioritmo degli stati della
libido di Simone ci sia le “jour critique”, le jour du coup de pouce, le jour
du bris, le jour de l’esquintement, le jour du Sonar, le jour du Dauffe, le jour de Simone.
│L’ectomorbido culo di Simone,
l’oggetto flottante magico
Nel campo delle cose heimlich,
anamorfiche, la macchia così
intrinseca che non ha segno precede la disubbidienza o comprende la
disubbidienza, perché frustra spiegazione e comprensione.
Una visione periferica, l’ectomorbido
culo di Simone Dauffe, nel momento in cui declina un saluto al mercato con
un’amica o alla Fête Médiévale, è la “macchia umana” che è speculare a un altro
semplice gesto, quasi anamorfico, insignificante.
Questa “prossemica anamorfica”, o
prossemica della macchia, in un determinato contesto, ma che abbia sempre un
che di “conclusus” anche nell’apertura della Foire, contiene due campi di
forza, quello che sente la fica e quello che sente la verga.
L’anamorfismo dell’oggetto flottante magico è
corrispondente allo stato amorfo del
bioritmo, cioè sarà le jour de Simone,
le jour critique del ciclo Fisico, Emotivo o Primario: allora, la percezione
del culo ectomorbido nei pantaloni grigi prenderà al laccio la libido del
percipiente.
Il morbido culo ectomorfico di Simone
Dauffe prende al laccio, è lì che
guarda per prendere nel momento in cui, allontanandocene leggermente, poco a
poco, a lato, e poi voltandoci, vediamo quel che significa l’ “oggetto
flottante magico”[1].
Il culo ectomorbido è come se fosse
guardato dallo sportello di Dürer nell’istante in cui la prospettiva geometrale
non è stabile o ferma, e perciò è l’istante che diviene immobile, facendosi
essenza del fantasma fallico: “preso” così il culetto ectomorfico, che,
d’improvviso da quell’angolo di passaggio in un attimo, è lì che ti guarda dai
pantaloni grigi, come se fosse in stato di riposo, o intrinseco, diciamo che è
lì nella sua intrinsecità, non ha ancora la forma che potrebbe avere per così
dire sviluppata, ed è allora che girandovi o con la visione periferica
nell’andarvene, come se ve ne steste andando in un’altra stanza, cogliete sotto
questa forma, che cosa? L’ oggetto
flottante magico.
Che, tra l’essere e l’apparire, è
essenzialmente altrove.
Non è nella linea retta, difatti ti
guarda obliquo, è nel punto luminoso, irradiazione, sfavillio, fuoco, fonte
zampillante di riflessi.
Che si rifrange, si
diffonde, inonda, riempie, trabocca anche.
Apparire delicato e inatteso quasi
flottante nel suo stato ectomorfico, ma che guardando prende al laccio il
fantasma fallico, ed è allora che diffonde l’ ectomorbidezza del suo essere (per
il cazzo).
Essenzialità fisica del desiderio,
ectomorbidezza che riempiendo lo sguardo fa traboccare, fa zampillare il
fantasma fallico che è lì nel suo punto luminoso, da cui rifrange.
Momento della metafora, dono,regalo al
posto del fallo che, avvenendo a livello della pulsione invocante, ratifica il
riflesso del desiderio, la sua propagazione.
Quando, nell’amore, si domanda uno
sguardo, “quel che c’è di radicalmente insoddisfatto e di sempre mancato è che Tu non mi guardi mai là da dove ti vedo[2]”.
Nell’attimo dello spostamento obliquo,
ciò che ti guarda è,invece, là da dove ti vede e, inversamente, ciò
che guardo è ciò che vuole vedermi.
L’”oggetto flottante magico”, nel
momento in cui prende al laccio il desiderio, è questo che dice:
Vuoi
vedermi da dove ti guardo?
Ebbene,
guarda, è questo!
Dà qualcosa in pasto all’occhio, nella
geometria del contesto nella prossemica morale che lo definisce, ma invita
colui a cui il quadro è presentato a deporre là il suo sguardo.
L’effetto pacificante della pittura è
qui un effetto parzialmente gratificante.
È dato qualcosa non tanto allo sguardo
quanto all’ occhio, qualcosa che comporta abbandono, deposito, dello sguardo.
L’oggetto
flottante magico, è questo, da dove ti guardo, ed è questo il luogo del
desiderio che è colto al laccio, ed è là da dove ti vede, l’oggetto flottante magico irradia il
fantasma fallico ed è là da dove vede il desiderio che guarda e che per essere
così sfavillante è perché, essendo riempita del fantasma fallico, trabocca, sta
traboccando.
E’ questo, il mio culo ectomorbido
fonte zampillante dei riflessi del fantasma fallico, che è lì nel punto
luminoso irradiazione, sfavillio, fuoco, che si rifrange, si diffonde, inonda,
riempie, trabocca.