Iconicità alta: linea intera 9
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Complessità mediobassa: linea intera 9
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Polisemia alta: linea intera 9
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Pregnanza alta: linea intera 9
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Carica connotativa evidente: intera 7
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Codice ristretto: linea spezzata 8
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44.Kou.Il farsi incontro[1]
di V.S.Gaudio
Il vento al di sotto del cielo e il farsi incontro delle gambe
L’immagine del farsi incontro ha in sé, come schema verbale, il movimento e, perciò, i sintémi non possono che essere, oltre che il cielo e il vento, le scarpe e le gambe.
“Il vento è invisibile; tuttavia il movimento che esso conferisce a nuvole e onde, foglie ed erbe, lo rende manifesto; e quel movimento è molteplice”[4]: il vento al di sotto del cielo, se andiamo a vedere l’esagramma somatico di Françoise Hardy, è sotto, è il trigramma inferiore, il suo movimento manifesto e molteplice è quello delle gambe, quando Françoise cantava “Tous le garçons et les filles”(1962) e il canto era quello delle gambe, il 9 al quarto posto nell’esagramma 44.Kou, la pregnanza alta del suo esserci, così rendeva manifesto il canto del vento ed erano le sue gambe che entravano nell’orecchio del nostro oggetto a : e entrando il vento con il canto delle sue gambe non era più un solo dio a dare movimento; come negli inni vedici, gli dei della tempesta sono sempre al plurale: le gambe-vento di Françoise Hardy scuotono i monti, abbattono gli alberi e si avventano nelle foreste del nostro fantasma come elefanti selvaggi; non sono possenti, furibondi e terribili come leoni, ma hanno qualcosa del selvaggio e del ludico dei puledri[5]: da sopra, queste gambe da puledra sembravano sempre nel paradigma del cielo, tra il metallo e il freddo, il ghiaccio e il cavallo magro; da sotto, sotto il cielo, dove soffia il vento e lei canta, le sue gambe hanno nel paradigma gli archetipi sostantivi e gli archetipi epiteti del legno, del bianco, del lungo, dell’alto, e lo schema verbale dell’avanzare e del ritirare.
La dea Eriu
Per questo, chi ha, per la somatologia della propria immagine, questo esagramma del farsi incontro, sembra che sia la dea celtica Eriu, la più casta di tutte le donne; e per questo, le sue gambe, come se fossero Dagda, il dio faceto, e Branwen, la dea dell’amore, ordiscono un complotto contro la sua virtù apparente.
Come nella leggenda celtica, Hardy-Eriu, trasformatasi in un cigno per asciugarsi pigramente le sue piume al sole, Dagda si trasforma in cigno anche lui e finge che Branwen sia un’aquila che vuole prenderlo con il becco, e mentre l’aquila si accinge ad afferrare il cigno Dagda, questi si lascia cadere tra le ali aperte di Eriu che si addormenta con lui.
Durante il sonno, Dagda prende Eriu e la feconda. E Françoise Hardy quando si sveglia, sotto il cielo, che è il trigramma che condensa la sua iconica polisemia e la sua polisemica complessità, canta per il nostro oggetto a passando al meridiano di quel fantasma degli anni sessanta: “Tous les garçons…”; “Je t’aime”; “Le temps de l’amour”; “Tu verras”; e addirittura “Suzanne”, come Joan Baez e Leonard Cohen[6].
In realtà, sono le sue gambe che, come il vento, hanno l’intensità del respiro; in realtà, è Eriu che è il soggetto del canto del vento, la cantante, ed è furibonda e terribile, e forse è per questo che ci sembra un cavallo magro, un buon cavallo; invece è il vento alto e lungo, sotto il cielo, che avanza e si ritira, e noi ci si sente interamente nel vento, che è invisibile, ma, sapendo da dove soffia, possiamo denominarlo le “vent-Hardy[7]”?
La lontananza e l’isomorfismo aria-canto
Per tutto questo vento che abita sotto il cielo è la lontananza (della meta) che il visionatore sente, come se fosse in una massa lenta che sta tentando di avvicinarsi a una meta inamovibile: la strada è lunga, gli ostacoli sconosciuti, pericoli minacciano da ogni parte.
Intanto che il tempo passa, il visionatore non riesce a definire il cammino della sua libido, capita che sia costretto a deviare dal cammino e qualcuno si smarrisce lungo la strada.
Ma fin quando il visionatore tende alla sua meta, l’oggetto a, le gambe della Hardy, il suo fantasma , è dentro una massa lenta e ritmica che continuerà ad esistere finché non avrà raggiunto la fine del desiderio.
E dentro la massa lenta, per le gambe del vento-Hardy, è quasi impossibile che il visionatore possa scaricare la sua libido.
L’isomorfismo aria-canto rinvia alle tecniche simboliche della purificazione attraverso l’aria, tanto che tra respiro(del vento) e verticalità(del cielo) sembra che la castità di Eriu venga a somatizzarsi in questa metafisica del puro che è Hardy, che ha il ni(che nell’uomo in genere si localizza come çakra dell’anima nella testa), sì, nella testa ma è invisibile ni na klé, “l’anima che sale e scende”, ma per essere il vento, il respiro delle gambe[8].
La foto d’Harcourt che cammina nell’oggetto a del poeta
Non so se Françoise Hardy sia stata mai fotografata dagli Studios d’Harcourt, in ragione del fatto che, se “l’attore d’Harcourt è un dio”[9], la cantante d’Harcourt sarebbe stata una dea.
L’essenza atemporale dell’attore d’Harcourt è tutta piena del “segreto profondo attribuito a ogni bellezza che non parla”[10] in una materialità sublimata che funziona in una “città” inerte.
L’essenza atemporale della cantante Hardy-Eriu, con il viso che è un oggetto romanzesco, la sua impassibilità, il suo impasto divino, sospende la verità quotidiana e dà il turbamento, la delizia: come nella foto dell’attore d’Harcourt, la sua carne ha uno splendore inalterabile, una seduzione pura da ogni malvagità, tanto che una foto della cantante Hardy-Eriu, fatta dagli Studios d'Harcourt, non è detto che non possa esserci, appesa, non dico sulle scale del palazzo dove si svolge “La vita” di Georges Perec ma, nella mansarda di un poeta( e quindi anche lì bisognerà salire, dare un pugno al cielo), che visse a Torino(che è pur sempre la più francese delle nostre città) i successivi anni Settanta; anche se in ogni sogno o fantasia, ogni immagine ideale, ogni foto( in special modo se d’Harcourt), appesa e pubblicata, comincia col sopprimere le gambe, così che la dea-cantante possa essere un angelo, ma che la Hardy, per quanto fosse dentro la bolla del cielo e dell’alto, ha continuamente smentito facendosi fotografare più volte nel gesto più banale, quindi più umano, che è il camminare.
Ed è proprio lo schema verbale che il vento di Françoise Hardy fa passare a far collimare la Hardy-Eriu con la Déesse , non fosse altro perché “la nuova Citroën cade manifestamente dal cielo nella misura in cui si presenta da principio come un oggetto superlativo”[11]: così che la Hardy, per farne un “mito d’oggi” nel decennio successivo al decennio delle “mythologies” rilevate da Barthes, ha tutti i caratteri, come la Déesse, di “uno di quegli oggetti discesi da un altro universo che hanno alimentato la neomania del Settecento e quella della nostra fantascienza; la Déesse è da principio un nuovo Nautilus. E’ per questo che in lei più che la sostanza interessano le giunture”[12].
Come la DS19, la Hardy non aspira al ricoperto puro, alla castità assoluta, sono i suoi incastri che interessano di più il visionatore: come, della DS19, “si tasta furiosamente la giuntura dei vetri, si fa scorrere la mano nei larghi solchi di gomma che collegano il finestrino posteriore alle sue rifiniture di nickel”[13], così, della Hardy, la Déesse-Eriu, il visionatore tasta con lo stesso furore le giunture delle gambe, giù alla caviglia, in mezzo alle ginocchia, fin su, laddove si può far scorrere la mano dove la carne di legno e di vento collega le gambe al finestrino posteriore.
Come la Déesse, la Hardy è visibilmente esaltazione del vetro, dei vetri, grandi pannelli d’aria e di vuoto tra cielo e vento,
Così FH44[14] può farsi efaς e fare allitterare “efface” se non un “effacé” tronco e quindi una “cancellatura” o uno “stare nascosto”, la Déesse va dentro il paradigma della sterminazione del nome, come il poema che è la risoluzione del mondo, così lei declina, per cancellarlo, il suo nome di Déesse, e, come il poetico che è la sterminazione del valore[15], lei, con l’acronimo[ efaς ] “efface”, cancella, nasconde il significato, avendo, nel vento sotto il cielo, volatilizzato il nome, il significante, di cui, con questa cancellatura o dispersione senza ritorno del nome o del tempo, non resti né risulti nulla.
[1] Il trigramma superiore è Ch’ien, il cielo, per via del tasso alto della iconicità, linea sopra, della complessità, al 5° posto, e della polisemia, l’altro 9 al quarto posto; il trigramma inferiore è Sun, il vento, per l’alta pregnanza e carica connotativa e l’8 all’inizio che è un codice ristretto ma che tende, in particolari momenti della biografia, a mutarsi in codice un po’ più elaborato. Comunque, il cielo, che sta sopra il vento, permette, se si vuole, di non lasciarsi afferrare. Un cielo che fa dell’atto d’incorporare della bocca un atto che determina una certa distanza, anche con il canto così soffiato, soffuso, della Hardy, che elimina l’angoscia incessante di essere toccati e afferrati.
[2] L’esagramma somatico viene prodotto con il metodo che abbiamo spiegato in altri testi, prestando l’I Ching alla poetica e alla somatologia dell’immagine con l’ausilio degli indicatori globali di Abraham A.Moles: cfr., ad esempio, V.S.Gaudio, Amelia’s Spring.La Stimmung con Amelia Rosselli, in “Zeta” n.82, Campanotto editore, Udine dicembre 2007.
[3] Per come Françoise Hardy è una longilinea ectomorfa(è alta 5’71/2, 172 cm) , una di quelle il cui polo attrattivo è l’inafferrabilità ma anche l’incostanza e che ha l’indice costituzionale[seno x 100: altezza] sotto 50 e l’indice del pondus[altezza – (peso+ seno/podice)= pondus ]che non arriva mai ad essere medio alto(26-21)
[4] Elias Canetti, Vento, in: Idem, Massa e potere, trad. it. Adelphi edizioni, Milano 1981.
[5] Cfr. Elias Canetti, ibidem.
[6] Delicata come il vento Hardy di sud-ovest è l’allora inedita “Quand un bateau passe”(1965): http://www.youtube.com/watch?v=YDEH1jmoOrE&feature=related .
[7] Se Hardy ha lo stesso respiro di hardi, allora il vento è proprio baldo e ardito, nonostante soffiasse di bolina, come di bolina stretta è l’allure della cantante, che forse è hardie comme le vent du sud, le “cornemuseux” , forse il più vicino al libeccio, le vent hardi cornemuseux ou libeccio, hardy per come lega il vento e ,appunto, dà un pugno al cielo, ecco è questa l’allure di Francoise Hardy: elle lie le vent(=”dà un pugno in cielo”) et chante comme la cornemuse, “s’éleve au vent”, “si porta al vento, sopra vento”.
[8] L’isomorfismo vento-parola-voce-gambe ha, d’altra parte, una corrispondenza evidente con il punto f , il “physicum”, della Hardy, che è esattamente a 180° da Mercurio, che è, appunto, il sintéma della voce, del canto e delle gambe.
[9] Roland Barthes, L’attore d’Harcourt, in: Idem, Miti d’oggi[1957], trad. it. Einaudi, Torino 1994:pag.15.
[10] Ivi.
[11]Roland Barthes, La nuova Citroen, in:Idem, op.cit.:pag.147.
[12] Ivi.
[13] Ivi.
[14] 44 è il numero dell’esagramma Kou nell’I Ching, che, guarda caso, è anche l’anno di nascita di Françoise Hardy.
[15] Cfr. Jean Baudrillard, La terminazione del nome di Dio, in: Idem, Lo scambio simbolico e la morte[1976], trad.it. Feltrinelli, Milano 1990:pag.208 e segg.
Tous les garçons et les filles, 1962
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