Un tratto, è necessario fotterlo!



Un tratto, è necessario fotterlo!
Simone Dauffe che si fa prendere dal Bonheur cavalcandolo sulla sedia nella 33 del “Foutre du Clergé”, specie se è stata a passeggio o ha fatto la musardine al marché du samedi ou du jeudi à Chambéry-le-haut, o nella 38, l’inverso della bestia a due teste, le chevalier sul dorso, col cazzo teso e duro e lei,Simone, su di lui a rovescio, con la testa dalla parte dei piedi, facendo in modo di schiumare la fica sul piolo del fottitore, o nella 16, per quando, anche non la domenica mattina, si mette in ginocchio, il culo ectomorbido sui talloni e le Bonheur inginocchiato che l’infilza e spinge sconquassandole le combien, schiumandole il miele di giovane ectomorfa, inebriante kama-salila.
Così come, essendo l’oggetto flottante magico, si è fatto fantasma essenziale per il Bonheur ha l’esenzione del senso attribuito allo haiku.
L’oggetto ectomorbido è leggibile, lo si ritiene semplice, prossimo,conosciuto, gustoso,delicato, “poetico”, in una parola offerto a un gioco di aggettivi rassicuranti; è una visione senza commento, interamente restrittiva, in cui è abolita qualsiasi idea di finalità[1]: come uno haiku non serve a nessuno, è necessario fotterlo “soltanto per fotterlo”.
Ciò che sparisce nello haiku come nell’oggetto ectomorbido che è Simone Dauffe sono le due funzioni fondamentali della nostra scrittura classica:da una parte, la descrizione; dall’altra, la definizione.
La definizione di Simone si trasferisce al gesto, ma più che al gesto all’oggetto anamorfico, che come una sorta di efflorescenza inessenziale, eccentrica, è lasciata andare alla deriva nella(per la) libido del chiavatore, o dello scrittore.
Non descrivendola, né definendola, come lo haiku, Simone si assottiglia sino alla pura e semplice enunciazione.
E’ questa, è così, è tale.
O meglio ancora: tale[2]!
Dice, il suo culo ectomorbido, con un tocco così istantaneo e così breve, la brevità di Chambéry-le-haut, che non ha oscillazioni e riprese, è uno haiku, un tratto che riproduce il gesto indicatore che indica col dito qualsiasi cosa, dicendo soltanto:
quello, l’oggetto ectomorbido, con un movimento così immediato, che ciò che viene indicato non ha, in apparenza, nulla di speciale, il culo ectomorbido di Simone è la pietra della parola gettata inutilmente: non ci sono né ombre né colate di senso, nulla è stato acquisito, come uno haiku che si arrotola su se stesso, una sborrata che appena fatta cancella il desiderio.
Simone Dauffe,è questa, è così, Tale!

da:


[1] Cfr.Roland Barthes, L'impero dei segni, trad.it. Einaudi, Torino 1984: pag.95.
[2] “Il deittismo del corpo è rinforzato dal mezzo che lo trasmette: l’immagine. L’immagine è per natura deittica, designa, non definisce; in essa c’è sempre un residuo di contingenza, che può solo essere segnato a dito. Semiologicamente, l’immagine trasporta sempre al di là del significato, verso la pura materialità del referente”: Roland Barthes, Loyola, in: R. B.,Sade,Fourier,Loyola ,trad. it. Einaudi,Torino 1977: pag. 51.
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