Niusia, l’oggetto a che ci sogna, è una
macchina del mullar come Lucia Castagna?
D’altra
parte, Niusia, nell’oggetto a del
poeta che le scrive nel terzo millennio, entra perché esorcizza il proprio
sguardo e il proprio giudizio, gode in definitiva della propria assenza: tra il
socievole e la cortesia, il progresso graduale di Niusia si sviluppa per
un’avventura che non è per niente favolosa, un po’ come sarà per la Lucia
Castagna, che verrà dopo, del Piero Chiara de I Promessi Sposi[i], che è “in un reale in cui i rapporti di classe sono
al tempo stesso brutali e indiretti, secondo l’opposizione radicale fra
sfruttatori e sfruttati passano nel romanzo come se incrociassero il passo con
Balzac”[ii]: il
supplemento, che avrebbe potuto essere una sorta di fuori-senso di crudezza ed
è invece un supplemento di dissolutezza, che così come avviene in Sade fa da
operatore di linguaggio. Il supplemento è quella parte del linguaggio che
riversa sull’enunciato ed è l’Altro, con
questa crudezza ambigua che svela la sessualità, che, vai a verificare, è
sempre nel bioritmo sanguigno della protagonista, sia questa Lucia o Niusia,
senza che accada nulla nell’ordine dell’impossibile o della sfrenatezza o
dell’inverosimiglianza. In effetti, cosa trasgredisce Niusia, il diritto
coniugale no, la promessa nemmeno, e quindi come avrebbe potuto fondarsi come
oggetto a nell’omonimia del sibaritismo?
L’atto contro-natura, nella narrativa classica, si esaurisce in una parola
contro-linguaggio, come dice Barthes:”trasgredire è nominare fuori della divisione del lessico(fondamento della
società, allo stesso titolo della divisione delle classi)”[iii]. Niusia
che contenuto avrebbe? Non ha un legame affettivo, sociale, non è nella
riconoscenza, nel rispetto; ci fosse stato, come in effetti pare che ci
sia, il libertino, che è sempre il
narratore in qualunque forma, cosa avrebbe dovuto ignorare, quale rete dei
legami nominativi e combinatori, per farsene un baffo, anzi per riconoscerla
per meglio eseguire la sua operazione sintattica? Voglio che capiate questo: la
Lucia di Piero Chiara è fatta per farsi “macchina del mullar”e quindi per
essere tale ha sempre un fantasma di
linguaggio, che è il colpo deflagratorio dell’iscrizione, la dissolutezza,
il suo linguaggio è battuto, l’orgasmo termina la storia e lo sviluppo dal
graduale al verbale del suo piacere: ha una frase da coniare per il paradigma
della giovane che viene data in sposa, e difatti “Lucia Castaña se acuña”; è
così si può rinvenire la pratica erotica che si incunea tra discorso e corpo, in
maniera che operata questa spaccatura la scrittura sia il coño tra Logos ed Eros, e sia possibile
incastrarsi, pertanto, nell’erotica con il punzone del grammatico e nel
linguaggio con il “cugno” del pornografo. Allo stesso modo, Chiara entra nel
racconto dei promessi sposi di Manzoni: lo scambio, tra linguaggio e lussuria,
o tra corpo e lingua?, non ha contratto alla base, o almeno sembra che non
attenga alla storia da cui si sviluppa, viene effettuato con i fantasmi di
linguaggio spagnolo: è tutta qui la transitività asimmetrico-simmetrica,
alternata, di entre, sostituisce,
disfa l’alternanza spazio-temporale del tra
manzoniano[iv].
Niusia
è una “macchina del mullar”[v] e ha
anch’essa un fantasma di linguaggio,
che è nel nome con cui si fa oggetto radicale ; l ’eccesso che c’è nel nome
proprio [e può essere stato il
caso che ha randomizzato l’oggetto a
rendendolo così irredento, tale, avrebbe
detto Barthes] è questa ottusa “turbolenza”
così dissipativa e densa, che è tra il silenzio e l’immobilità con cui
paradossalmente rivela la non-oggettività del mondo, quel qualcosa che non sarà
risolto dall’analisi né dalla somiglianza, Niusia in quanto specchio crescente dell’illusione e
delle forme è come se fosse il non-luogo, l’eterotopia, forse, di un doppio
gioco, ecco perché , come il mondo in se stesso, non somiglia a niente e in
quanto oggetto puro non è identificabile: è tornata, passa al mio meridiano,
perché lei è l’oggetto a che ci vede,
l’oggetto a che ci sogna, è il mondo
che ci riflette, è il mondo che ci pensa. I romanzieri normali non
l’ammetterebbero mai, perché sono come i fotografi quando sostengono che “tutta
l’originalità risiede nella loro ispirazione, nella loro interpretazione
fotografica del mondo. Il fatto è che fanno delle brutte e troppo belle foto,
confondendo la loro visione soggettiva col miracolo riflesso dell’atto
fotografico”[vi]: la magia di Niusia
risiede nel fatto che è lei, in quanto oggetto a, a fare tutto il lavoro. Per questo, non le si può coniare un
“pornogramma”, che, d’accordo con Barthes, “non è solo la traccia scritta di
una pratica erotica e neppure il prodotto di un ritaglio di questa pratica,
trattata come una grammatica di luoghi e di operazioni”[vii]; è
irriducibile, sì, ma in quanto oggetto a di
che cosa è il resto e in che rapporto di opposizione sarebbe con il fantasma
che i vari attanti(chi sono?)avrebbero dovuto creare?
[i] Piero
Chiara, I Promessi Sposi, Mondadori,
Milano 1998.
[ii] V.S.
Gaudio, La macchina del mullar e la
sorpresa di vocabolario, in: Idem, Il
Nome Proprio della Castagna, © 2007.
[iii] Roland Barthes, Sade II, in : Idem, Sade, Fourier, Loyola, trad.it. Einaudi,
[iv] Cfr.
V.S. Gaudio, L’omonimia del sibaritismo
spagnolo e la sorpresa di vocabolario ne “I Promessi Sposi” di Piero Chiara,
in Romanzo e supplemento di realtà di
Alessandro e V.S. Gaudio, lunarionuovo n.31, giugno 2010.
[v] E’
superfluo star qui a spiegarvi cosa possa essere il “mullar”(ma essendo apparso
l’”asino”, l’avrete capito,no?,non può che essere la “pietra da mulino”),
essendo stato definito in Aurélia Steiner2(©
2005) o, se proprio volete sobbarcarvi
un’altra fatica, in Shummulon vs
Shumullar, la Stimmung-Shqip con il Samuel Beckett, di “Rockaby”( © 2006);
sappiate, comunque, che quando c’è la “macchina de mullar”, perché funzioni e
per questo sia stata ben oliata, “Il rapporto del soggetto con il significante
necessita la strutturazione del desiderio nel fantasma, e il funzionamento del
fantasma implica una sincope temporalmente definibile della funzione di a che, necessariamente, si cancella e
scompare in questa fase del funzionamento fantasmatico”(Jacques Lacan ,Le palpebre di Buddha,in: Idem, Il seminario, Libro X, trad.it.Einaudi,
Torino 2007: pag.236). Niusia è come l’angoscia e pertanto “deve essere
definita come ciò che non inganna, precisamente in quanto le sfugge ogni
oggetto”(Lacan,ivi). Non si può
guardare Niusia come se fosse la statua che rappresenta la divinità femminile
che si chiama Kwan yin: la guardate la statua, vedete il suo viso, vedete
l’espressione assolutamente stupefacente per il fatto che è impossibile
leggervi se essa è tutta per voi o tutta rivolta all’interno”(Lacan, ibidem.pag.246); Lacan stesso ha
esaminato bene il legno, si è informato e la soluzione gli è stata data:”la
fessura degli occhi di questa statua è scomparsa nel corso dei secoli a causa
del massaggio che le monache del convento(…)vi praticavano più o meno quotidianamente”(Lacan,ibidem:pag.247). Niusia, per vederla,
non sono necessari solo gli occhi, ma è pur vero che basta l’occhio e uno specchio perché si
produca un dispiegamento infinito di immagini che si riflettono a vicenda. E
come non tutte le forme di Kwan non
sono femminili, il “Mullar”,non dimentichiamolo, all’origine è di genere
femminile. Cosa voglio dire? Voglio che vediate o sentiate che quando ridiscende
dal Sinai, Niusia, non c’è il suono dello shofar,
quindi quella che parla non è detto che sia la voce di Yahweh, ma quando la
vedete, Niusia, che passa al vostro meridiano, ed è al suo doppio meridiano
eterotopico, ciò che sentite è la rimembranza legata a quel suono, che è
automatica e legata al ritorno, che è nel convoglio della batteria del
significante, che dà il senso dell’interrogazione suscitata a partire dal luogo
dell’Altro. La macchina del mullar è
un po’ come lo shofar, ad esso si
sostituisce, lustra il sentimento profondo di imbarazzo di fronte all’
esistenza con la sua funzione, ma è questo apparecchio che ci fa incontrare con
il nostro cammino. Quell’oggetto a,
vai a vedere, così passato nella “macchina del mullar”, è quello chiamato voce.
[vi] Jean
Baudrillard, Perché l’illusione non si
oppone alla realtà…, loc.cit.:pag.101.
[vii] Roland Barthes, Sade II, in: Idem,trad.it.cit.:pagg.145-146.
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[Dalla Introduzione , di V.S.Gaudio, alla 2^ edizione- a 36 anni dalla prima-di Ignazio Apolloni, Niusia, edizioni Arianna Palermo 2012, che potete leggere integralmente in “Rivista di Studi Italiani”, anno XXX, n.1, Toronto giugno 2012]
Ignazio Apolloni, Niusia,
Edizioni Arianna Palermo 2012
L'introduzione,
Niusia e l'insolubilità della letteratura,
di V.S. Gaudio
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