Jëvù [=fr. Jevou]e Zazzen.
Come pronuncia “je
veux”, Zaz dice quasi “Vù” , come se
fosse in italiano la prima consonante del mio acronimo, e poi cosa c’è là
dentro? Bonheur! Che, manco a dirlo, sapete tutti cos’è, è semplicemente il “Gaudio”
di Camus. Chi fu che tradusse il “Bonheur” di Camus con “Gaudio”? Nessuno. Zaz
mi vendica. Jë Vù Bonheur! Oh, elastica Zaz, anche tu dentro l’elastico di Mia
Nonna dello Zen, non foss’altro perché sei Zaz, che, tirato dall’altro capo,
sei sempre Zaz, oh, elastica fanciulla del “Jëvù” , come se fosse le Jésuve di Bataille, a cui quel poeta che
sarei fece correlare l’Enzuvë, che,
ci vuole poco a capirlo, con Zaz è tutto un plastico ‘nzuzù o zanzuvë se non ‘nzuzaz.
Sì, d’accordo, c’è
Zaz che si impiglia con “Zoze”, che stando a “zozoter” sarebbe connesso a “zézayer”,
che è lo schema verbale di chi ha una pronuncia bisciola, perciò voi dite fa la
bisciola con “Jëvù”, sempre che non
si vada per assonanza a “zazou””[che, come fanno dire ne ilBoch a Simone de Beauvoir,
era termine onomatopeico che indicava durante la seconda guerra mondiale quei
giovani appassionati di jazz], che è “gagà”, “stravagante”, “scentrato”;
tanto che, così messa, “Zaz”, senza “ou”, che fa l’elastico con “Vù”, l’elasticità
di Zaz è come se fosse l’elasticità di Bonheur, di Gaudio, non è considerato il
poeta “strampalato”, “stravagante” e del tutto “zazou”?
Mi ricorda lo zazen che faceva Mia Nonna nel dojo del
Giardino dell’Arancia, faccio zazen, mi disse una volta, notte calma e
tranquilla, nessun suono, nessun rumore, il silenzio; io pensavo: nel giardino
dell’arancia, la monaca fa zazen, nel cuore della notte, una bella luna, l’asino
che guarda nel pozzo, l’acqua nel pozzo e l’acqua guarda l’asino. Durante zazen, le sozzure del mondo, anche se ti
piovono addosso, non possono colpirti, al disopra delle nuvole, adesso c’è Zaz che canta con il suo schema zézayer,
lei diviene me, io divengo lei, zanzuviamo,
io “enzuve” (detto e scritto alla francese) Zaz, Zaz zezave il poeta dell’Enzuvë; nel Giardino dell’Arancia, la
monaca Mia Nonna non fa zazen, ci
sono i cavalli degli zingari, si riposano come se fossero le vacche argentine
di Mio Nonno. Paesaggio tranquillo. Chissà quando il Corpo forestale quel Giardino
che fu lo porrà sotto sequestro non fosse altro perché il Bonheur lì non c’è più. Davvero, Nonna, è tutto così
elastico?
La pienezza del “bonheur”
di Camus, che compete anche al poeta, che è ancor più assurdo di qualsiasi
altro uomo assurdo, proclamando l’assurdo di Jëvù Bonheur, zézaye anche il poeta il suo gaudio, anzi Zaz va a
finire che mi si impone con la forza ineluttabile del destino, il suo schema
verbale che bisciola il bonheur con tutto l’artificio dello Jëvù che è inseparabile dal Bonheur e perciò dal Gaudio; farò zazzen nell’indifferenza del reale e
nell’etica della quantità (del mio oggetto “a” che s’è messo a esser
bisciolo).