La “pjesë e mallkùar” di Aurélia Gurmadhi è
fatta della radice di mall, che, da
un lato, è “nostalgia” e , dall’altro, è “merce”: così opera questa sua energia
inversa, nell’irregolarità delle cose, nell’accelerazione, nello scatenamento
degli effetti, nell’eccesso e nel paradosso, nell’estraneità radicale, nei
concatenamenti inarticolati.
Da qui la complessità estranea,
l’irriducibile, l’incompatibile; e da lì questa anamorfosi determinata,
immobile e non fotografabile: come se Aurélia Gurmadhi, che sta a Durrës, fosse
l’arbëreshe che sta nella sibaritide, metamorfosi longitudinale da cui esce il
suo punto Heimlich, il suo Pikë Shehur, o meglio: Pikë i Fshehtë; il suo Pikë
ha bisogno di questo aggettivo articolato, perché qui sta la particolarità
somatica di questo Heimlich: è l’Heimlich articolato della clandestinità; Aurélia
Gurmadhi che è qui nella Sibaritide ma sta a Durrës questo fa:
fshion, cancella; fshion, asciuga; fshion, scopa;
ma, essenzialmente, është duke u fshiuar,
sta nascondendosi.
In questa deterritorializzazione lenta, un
prendersi cura da parte dell’oggetto, è come se il tempo, curvato, le
ritornasse sempre in anticipo per questo scarto di minuti che c’è tra il
meridiano di Durrës e quello in cui si fa vedere; come se le mancassero sempre
12 minuti; questa mancanza o assenza non ha bisogno di alcuna diversione
mistica, né fa sì che la sua estraneità alla propria cultura(ma quale?)sia
troppo grande:
Aurélia Gurmadhi ha il corpo che non sa
dov’è, e la sua mente si esalta per questa assenza come per un qualcosa che le
appartiene[1].
Pikë i fshehtë,
Aurélia Gurmadhi fshik, sfiora; ma
sfiora, fshik, perché?
Perché sfugge all’illusione dell’intimità,
perché
ha questo bagliore di impotenza e di
stupefazione
che manca completamente alla razza della
nazione in cui è, che è scaltra, mondana, alla moda, al corrente di se stessa e
dunque senza segreto?
Aurélia Gurmadhi ha dunque il Pikë i
fshehtë, lo Shumë che è il molto; lo Shumta, che è il massimo; l’assai di
Ajnos;il Gaz, l’albanese Gaudium; il Vakanda dei Sioux; l’indicibile, il sorprendente
dello Zahir; questo bagliore, questo Shkreptimë i pafuqshëm, impotente e
stupefatto, çuditur, con cui fshik il
meridiano del poeta, non lo stringe, né lo allaccia, no, Aurélia as shtrëngon,
as mbërthen; Aurélia fshik, ikullorja shkpëtim[2].
Il mezzopunto, che è il punctus et semis, che fu chiamato
Distinzione da Bembo così da
formalizzare il Puntocoma, allarga la
logica e affina l’introspezione:è il vostro sensuoso momento del trionfo.
Il vostro “per-me” infinito vi permette di
sottrarvi allo sgomento della conclusione; così come è il vostro passo, questo
muoversi a mezzopunto, a “gocciolona”; sì, del Bonheur, del momento sospeso
che, alla concisione, al rigore e alla finitezza del passo legato, interpone la
leggerezza del camminare.
“Hap” del “per-me”, për mua, che “happika” i significanti dell’immagine, la fa
centrare, la fa mettere a fuoco, permette lo scatto giusto:
come il “punto e virgola”
che apre e chiude lo scatto,
il vostro Hap, che è il momento del “punto e virgola”, apre, appunto: hap, e chiude, questo aprirsi, questo
allargamento appeso; “happikato”, si potrebbe dire in un dialetto che voi
arbëreshe conoscete bene, come appunto è appoggiato alla sua gruccia il punto e
virgola; o il “punto in alto” dei greci; che supporta apposizioni piene di
sottigliezze; permuta desideri e capricci; lustra quello scatto giusto
sospendendolo eternamente e rendendolo inconfutabile all’infinito; sorregge
apostrofi ed enfasi, esitazioni e ripieghi, rilassi e sospensivi.
Questo passo ha una modulazione e un
crescendo percepibili in un minimo di attenzione ai gesti: ho seguito le vostre
caratteristiche monodiche, perentorie ma anche sinuose e insidiose; sospese tra
la distorsione e un possibile, furtivo, inganno.
E’ il passo che coordina e dilaziona; ha la
durata del punto e il suo identico valore ma evita la sua irruenza o una
momentanea conclusione impossibile.
Ha quella finitezza concisa
dell’allargamento che è fatto solo per chi vi sta desiderando; è quella
“gocciolona”, la “Shumëpikë”, del momento sospeso[4],
che – trionfo del Bonheur o dello Shumë për mua – è diretto perentoriamente a
chi ne deve riconoscere la luce, il bagliore, lo Shkreptimë, e mettere a fuoco
la parte maledetta, la “pjesë e mallkùar”, per farsi lo scatto giusto, ovvero
il suo mezzopunto, la sua Shumëpikë.
[1] Cfr.
Jean Baudrillard, L’esotismo radicale,in:
J.B., La trasparenza del male, trad.it:cit.
[2] Aurélia
“né stringe, né allaccia; Aurélia sfiora, fuggevole baleno”.
[3] “Le
ho risposto:”.
[4] Per
tutte le considerazioni sulla punteggiatura, per la “gocciolona” e il “sensuoso
momento del trionfo”, cfr.: Jole Tognelli, Introduzione
all’Ars Punctandi, Edizioni dell’Ateneo,Roma 1963: in particolare, vedi il
capitolo Punto e virgola, da pagina
129 a pagina 135.
from:
AURELIA M GURGUR
Aurélia Steiner de Durrës