Una volta ebbi la ventura di conoscere una poetessa della
prima decade dell’Ariete: una donna allegra, seria, terribile contro i nemici e
piacevole per gli amici. Non aveva ancora trent’anni e quindi non avrebbe
potuto avere un grande amore per un poeta biondo e tenero come me, quando ero
biondo adolescente e preso dalla supplente di matematica con un podice simile a
quella che appare in Mind Mischief. Aveva già fatto testamento, la tipa: tutti i
suoi beni alla città, niente alla Chiesa, e lei era una che apprezzava molto la
mano morta specialmente quando gliela facevano al mercato della Crocetta il
sabato. Precisa, con progetti di grande respiro, non era come l’amica di Max
Jacob, Yvonne Leclerc, che era molto piccola, bionda, un po’ magrolina, ed era
una grande pianista che disprezzava i concerti e la gloria, e riservava la sua
interpretazione dei maestri, fedele, profonda e priva di facili effetti, a un
clan di artisti che l’ammiravano. La mia amica vestiva in modo estroso con un
gusto felice e amava portare i guanti. Suo marito, che insegnava all’Università,
aveva la sua vita, lei la sua. Mi raccontò che gli disse:”Tu sei libero di
tradirmi, se avere quelle donne non ti disgusta; io rivendico il diritto di
poter avere la stessa libertà, ma ti avverto che non ne abuserò: tutti quegli
individui sono troppo ripugnanti perché li collezioni”.Amava la meccanica e
finì con l’aprire una locanda dalle parti di Cavour. Un tipo un po’ Pallade un
po’ Minerva, indomabile e lasciva, si sentiva sempre nel piacere singolare di
Briseide come viene presa da Achille nella raffigurazione di Marcantonio Raimondi
per i Modi dell’Aretino. Adorava il tumulto dello spirito e il movimento, lo
slancio vitale, del (-phi).