Lo stile del poeta Toro è sempre a un passo,
sopra e sotto, lo schematismo trascendentale dell’eufemismo: a un certo punto
della sua biografia, ha problemi e dubbi per la translatio. Non sa che pesci prendere coi procedimenti metaforici
che vanno dalla semplice comparazione agli espedienti più sottili quali la
metonimia, la sineddoche, l’antonomasia e la catacresi: le vede tutte come
deformazioni dell’oggettività, come diceva Gilbert Durand: tutte consistono nel
ritornare al di là del senso proprio, residuo dell’evoluzione linguistica, alla
vita primitiva del senso figurato, e allora c’è chi trasmuta incessantemente la
lettera in spirito, come se fosse questa la risoluzione tra menopausa e
climaterio. Un altro propenderà per la traslazione euclidea, e scaccia via
iperbole e pleonasmi. Non più mulini a vento, sembra la via del paesaggio
kantiano o è quella della pura oggettività dell’école du regard, che Giorgio Barberi Squarotti vedeva addirittura
in alcune partizioni del giovanissimo
V.S.Gaudio, che non era un poeta del Toro, e allora Vuesse ricordò Artura, che era nata il 30 aprile, e si
disse, nel vederla mentre spiava fuori dalla finestra in alto sulla parete,
così come si usava in Romagna, e lui, adolescente,a rimirarne la solidità
mesomorfa delle gambe, che è allora per questo che la femmina del Toro ha un
buon udito, ma Artura, poi, non era così licenziosa in gioventù, era solo che
la fanciulla aveva dato carne all’eufemismo, allo stile dell’antifrasi, e per
questo il raddoppiamento di quella immagine si era ritagliato lo spazio
fantastico nello schema di capovolgimento della libido del giovane puberale che
poi si farà poeta, forse proprio per la simmetria della similitudine che la
femmina del Toro , anche una giovane compagna di giochi pomeridiani, disegna,
o, meglio: stampa, come sintassi di doppia negazione. In sostanza, è anche per
questo che il poeta del Toro, o la poetessa, quando il mutamento del tempo e i
bioritmi sembrano essersi ormai fermati, schematizza , tra enallage e iperbato,
un suo personalissimo argot, fosse pure il più stupido dei poeti dialettali.
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