Mia suocera una Vergine poetessa a Civita.


cMia suocera era nata proprio all’inizio della Vergine. Non era poeta. Fosse stata poetessa, come la figlia, sarebbe stata tutta addentro al particolare, dentro il paradigma, però, perché sarebbe stata priva di ogni più semplice concezione sintetica, con un ragionamento chiuso, parziale, sempre a ripetere lo stesso enunciato, come se fosse un ricordo preciso, e per questo ripetersi non è più un ricordo, per essere così ripetuto non è mai avvenuto; sarebbe stata una poetessa da annuario, che cataloga tutto, anzi entra lei stessa in ogni biblioteca, e la sfogli, e dice sempre lo stesso “fatto”, uno dei pochi quando era sfollata a Civita e fa le laudi di una figlia di mezzo che le fa fare chissà che cosa, e avrebbe, la neonata, forse due o tre anni, in mezzo a quel Dasein nell’habitat della minoranza italo albanese, essendo lei stessa, per il padre, di origine italo albanese, senza che, però, se ne sia formalizzato mai, durante la Repubblica, lo statuto per acquisirne i benefici e i diritti secondo la Costituzione. Quando il poeta la conosce, sembra che possa essere paziente, precisa e umile. Scoprirà poi quanto, la ammašcata arbëresh, sfollata a Civita prima dell’epopea del principe nero Pignatelli( o durante?), per lo schema di assoggettamento della cosiddetta “Virgo Fidelis”, potesse essere meschina, amorale, codarda, e, commutando la biblioteca in catasto, assurdamente falsa e per niente fedele e devota al Super-io della popolazione ghega. A meno che la linea della sua Besë, nei confronti della stessa figlia minore, la poetessa, quella che nascerà negli anni cinquanta, e quindi nell'habitat del mare, lontano dalla originaria Umwelt arbëresh,  non fosse stata segnata in modo così obliquo e contorto.

c Civita è la fine della storia delle barche







Dal fondo del cielo venne così.
La guerra. Ancora sei minuti e
siamo a Civita, Ḉifti, la coppia(1).
Che è la fine del mare.
Il mare e la storia delle barche
di mio suocero.
Il tutto era il mare e non è pari
e il mare adesso è finito e siamo
arrivati con questo temporale
a Civita dentro la guerra
dentro questo silenzio
e la valle dei Giudei
c’era il mare e adesso
c’è questa foresta del silenzio
e la voce del gatto a cui
un uomo risponde Ḉenxìn(2)
o forse era Llinárd o Kòst
e questi uomini hanno
la voce del gatto stesso
il silenzio è tale che non
si riesce a capire che ora
sia è il silenzio della foresta
e l’ombra profonda dell’acqua
del Raganello abbandonato
lënë che non è lálë, u zij,
làk, forse, è questa puzza
di cavolo che non mi lascia
la guerra è venuta qua sopra
làrt in tutto questo silenzio
kushdò, chiunque, è una cugina
kushërir o una scodella di terracotta
kùtullë, o una pelle, una lepre
lèqe(3), la curva interna del ginocchio
lëkúr, è la pelle e la persona incallita
abituata a essere arbëresh
e mi abituerò a chiamare il cane
kùç kùç per poter kuçinàrë(4)
o stare a sentire il kùk(5)
questa guerra qui non è kukënj(6)
semmai è una kukuvèl o kukuví(7) ?


c Poesia di M.V. Diodato raccolta, negli anni settanta, e trascritta da Marisa Aino e V.S. Gaudio
(1) ifti equivale a “coppia”; çift è, invece, “pari”.
(2)La ||è palatale, come “cena”, “cioè”; la |x|ha la z sonora di “zona”.
(3)La |q |va letta con suono fricativo tra c dolce e c duro:cklècke
 (4)Kuçinàrë è il mestolo di legno.
(5)Kùk è il cuculo.
(6)Civita, in sé, non pare che fosse il paese della cuccagna, kukënj.
(7)Una è una specie di civetta, l’altra è la civetta in sé.