LA POESIA DELL’EROE CON L’AFFETTIVITÀ STRETTA DELL’ OBJET a
!MARISA AINO |in memoria di Carlo Cipparrone
Carlo Cipparrone MIRROR OF GLANCES Gradiva Publications, New York 2009 |
L’ultima parte de L’ignoranza , che pubblicammo io e V.S.
nella nostra collezione Dasein &
Poesia delle edizioni di UH, che stampavamo a Cosenza, fu nel
2009 tradotta da Martha Bache-Wiig e pubblicata all’interno del volume Mirror of Glances, Poems 1963-1999, Gradiva Publications. La cosa mi fece ripensare,
per via della Grande Città, New York, al saggio di V.S. sull’epica urbana e la poetica ipotattica, “Raymond
Ledrut dice che l’approfondimento della soggettività nella Grande Città offre
nuove relazioni con l’Essere: la città può giocare il ruolo di un rivelatore
per singolari rivelazioni”[i], insomma all’io che non si
distingue più, alla nominazione referenziale e il senso del reale, il denotatum
e il senso denotativo, l’ambivalenza della Sicht e dell’aspetto, l’ipotassi e
il contenuto modale indefinito, infine all’opacità ideologica dell’epica
ipotattica, e al reale impossibile dei poeti trattati in quel saggio da V.S.:
Alberto Di Raco, Giovanni Raboni, Pietro Terminelli e Carlo Cipparrone; e poi l’epica
urbana e la flânerie, addirittura lo zoning stilistico della poesia-faubourg, che era forse qui la
ragione del contenuto modale di Cipparrone, e delle figure: V.S., nella tavola
B. La prospettiva annullata, l’estensione
controllata e l’epica contratta, a pagina 10 del numero 7 di “Capoverso”(Cosenza, giugno 2004), dove
uscì il saggio, il contenuto modale del palermitano Pietro Terminelli era
incentrato sulla deprivazione emotiva, e perciò le figure di base della sua
poesia sono l’enumerazione e la metonimia; il contenuto modale del romano Di
Raco era costituito dall’epica che si ingenera dalla contrazione emotiva e
conativa, tanto che la figura chiave è l’ipotassi; il contenuto modale di Carlo
Cipparrone era basato sulla affettività
stretta e le figure relative: estensione
controllata e accostamento: il
reale impossibile che ne deriva, questo scrisse V.S., è la Unlust che accorcia l’identità di percezione della Biografia; in Di Raco, invece, l’identità
di percezione è a lato del Real-Ich;
in Terminelli, non ne parliamo: la Unlust
del soggetto desiderante è fabbricata tra A(Autoerotish)
e R(Real-Ich): così l’identità di
percezione sembra che si ficchi dentro il reale. E allora, V.S. è micidiale,
non è criptico: il poeta palermitano è quello dal testo a scrittura ideologica
ineluttabile; il poeta romano è quello dal testo da biografia sentimentale meccanizzata,
che più sotto vi spiego cos'è; il poeta cosentino è quello dal testo dell’eroe che
non ha duplicità territoriale. E Giovanni Raboni? Raboni, V.S. l’aveva messo
nella Tavola A. La coscienza infelice e
la coscienza sentimentale meccanizzata, per cui è il poeta milanese dal
testo a deissi indefinita, l’attante è quello della generalizzazione; lo stile: quello della menzogna metonimica a
contrazione intensiva, che ha, come particolarità testuali, enunciazioni
performative e l’assenza di determinazioni qualificative.
La poesia IV-Il nemico e trad. di Martha Bache-Wiig: pagg.42-43 Mirror of Glances |
Lo schema dell'IPOTASSI e del CONTENUTO MODALE di V.S.Gaudio "Capoverso" n.7: pagina 8 |
L’epica urbana
ipotattica è senza centro, non ha molteplicità, né ha l’ozio del flâneur; la poetica
ipotattica non ha la poesia immanente dell’andatura lenta del flâneur: la flânerie, che poteva “mutare l’intera
Paris in un intérieur, in un’abitazione
le cui stanze, non divise da soglie come le camere vere e proprie, sono i
quartieri, così, d’altro canto, la città può schiudersi al passante da ogni
parte come un passaggio senza soglie”[ii], qui non c’è, perché la promiscuità di familiarità genera una
pressione sociale tanto pesante che diviene presto intollerabile: è come se l’io
di questa poetica non fosse mai andato, dal quartiere di residenza, al centro.
Nella poetica urbana del XX secolo, il poeta è l’uomo del bisogno, come una
città moderna ha un io spezzettato in quartieri isolati, ma che non si risolve
mai in un mosaico di comunità locali, di borgate. Insomma, il tempo della città
antica, come quello della città barocca, e, per Carlo Cipparrone, della Cosenza
Vecchia, è morto. L’io tradizionalista e comunitario e la grande personalità
appartengono a mondi scomparsi. Un io che non si distingue più, un io simile e
uguale a tutti gli altri: un io, tuttavia, scrisse Ledrut, che all’opposto dell’io
delle tradizioni, ha una vita propria e che è una persona, che è soggettività e
solitudine. Tra il chiuso del particolarismo e la mancanza del centro, l’io non
si realizza, non edifica il proprio essere come un’opera d’arte, è senza
qualità perché nello spazio sociale urbano è finito il tempo dell’eroe ed
inizia l’età tragica.
Carlo Cipparrone L'ignoranza UH-Dasein & Poesia Cosenza 1985 |
Scrisse V.S.: il reale[di Cipparrone] resta impossibile: il personaggio "urbanico"[evidente la connessione con le Urbaniche di Di Raco] non
ha quella sorta di reale a tipologia
sentimentale, ovvero potrebbe pure averlo, ma sarebbe una tipologia sentimentale di tipo “meccanizzato”,
che, stando a René Le Senne, il padre della caratterologia francese, ha
qualcosa del “sentimentale placido”, la cui vita trascorre nel regolare
comportamento dei meccanismi predisposti. Anche se si può ancora sentire nella
sua attività la presenza dell’emotività, sia dalla forza con la quale aderisce
al suo regime, sia dai turbamenti che ne accompagnano l’interruzione. Lo stile
sentimentale meccanizzato non concede mai troppo alla sensorialità o alle
potenzialità affettive della Biografia.
Corre il rischio di incappare in una certa univocizzazione sintattica o in
certe sottili estensioni dell’epiteto, e la sua aria quasi indifferente non
trascina mai l’occasionalità del vissuto lontano dal lettore: anzi si fa verità
pressante anche se provvisoria, fantasma che,
cacciato dalla porta dell’Aspetto, ritorna dalla finestra della Prospettiva. Ma
c’è sempre qualcosa nel fantasma che
resiste ai tentativi semiotici, ed è l’articolazione con il reale: quell'impossibile rapporto di
cui fa mostra, e con questa modalità la struttura della frase semplicemente si
mostra: ecco perché il fantasma, anche quando non si vede, o quando sembra che
l’eroe ne sia sprovvisto, è sempre in scena. Lacan lo chiama “objet a”.
[i]
V.S. Gaudio, L’epica urbana e la poetica
ipotattica, “Capoverso” n.7, Cosenza: gennaio-giugno 2004.
[ii]
Walter Benjamin, Paris, capitale del XIX
secolo, a cura di Rolf Tiedemann, Einaudi, Torino 1986: pag.551.