(…)
Il Perito Grafologo ha rilevato nella Forma Grossolana della
scrittura del Poeta uno stile che chiede all’efficienza ciò che l’impulsività
non può ottenere dal simbolo; una poesia che “piange” sul denotatum drammatico,
perché vi proietta i propri vizi sentimentali. La Continuità Esitante, come gesto
grafico, testimonia dell’agitazione e dell’apprensione del Poeta, che, in
qualche modo, si fa specchio della Dimensione Grande, che comporta, sì,
un romanticismo ardito, perché egocentrico ma anche un egocentrismo romantico,
che implica l’eccessiva precipitazione del Poeta. Da ciò: dall’apprensione,
dall’agitazione e dalla precipitazione, il lavoro del Lafcadio è facile se non
semplice: il Poeta è apprensivo, si agita, è precipitoso, non chiude le
finestre, entrano lampi, che cosa sono? Non è Dio, ma va!...
Dal reperto calligrafico, qui riprodotto, appare inquietante la non
puntualizzazione, da parte degli Inquirenti e dei Semiologi, dell’ultimo
capoverso:
“Dovrai dire a qualcuno
di finire
questo sfiancato cavallo
ché tanto non si riparte”.
questo sfiancato cavallo
ché tanto non si riparte”.
Il Poeta era già stato colpito, è lui il
“cavallo sfiancato”? E’ evidente, comunque, la rassegnazione del Poeta: nel
primo reperto, lascia la finestra aperta; nel secondo, su cui il Grafologo ha
fatto la perizia qui riassunta, invita qualcuno(: chi? Un parente? Un amico?)a
dire a qualcun altro (un altro Lafcadio?) di finire l’opera non ultimata da un
Lafcadio disattento o sadico. Anche sul “rapporto da redigere sulla spesa per i
metri di fune e le inutili spade”, niente è trapelato da chi indaga.