Giancarla Pinaffo
Cartoulénax Cartoline Poesie nel patois francoprovenzale dell'alta Val Grande di Lanzo
pp.XX+108; f.to 17x24
□Edizioni dell'Orso
Alessandria 2019
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Come Andrea, nessuno pagina 76 Nhun, coume Andrèllia |
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Se mi parlassi
pagina 3, 4 e, qua sotto, 5
Se t'am parléxax
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Dall’usignuolo di Keats all’ archetipo doppio di Giancarla Pinaffo ≡
“Del rapido passo del sole che dietro”, ‘d lou pax lèst ‘d lou souloelli que dré[i],
mi fa ripensare al “Lou soulèu èro deja
naut. Dret, davans ma cabano de sagno” di Felis Gras, è l’incipit di “La
Camargo”, 1891.
“‘U
pàs lèst”, va da sé, anch’io potrei metterlo nero su bianco qui sulla costa
dell’Alto Ionio, ma avete notato come dalle parti di Avignon il sole di Gras
fosse “lou soulèu” e nell’alta Val di
Lanzo è quasi un vezzeggiativo: “lou
souloelli”?
Voglio farvi notare come, non potendo,
Keats, definire la parola Archetipo, fu per questo che precedette di un quarto
di secolo una tesi di Schopenahauer: scrive Borges che aveva “intuito nell’oscuro
usignuolo di una notte l’usignuolo platonico”[ii]. Il platonico sa che l’universo
è in qualche modo un cosmo, un ordine; tale ordine, precisa ancora Borges, per
l’aristotelico, può essere un errore o una finzione della nostra conoscenza
parziale. Insomma è come dire che il nominalismo fa capo ad Aristotele e il realismo a Platone.
La poesia dialettale, attraverso le
latitudini e le epoche, usa il dialetto e la lingua nazionale e unisce lingua e
nome: parte, il poeta dialettale, come se trattasse del reale, usa il volgare,
apparentemente non ha concetti astratti, tematicamente narra di individui;
riferendoci all’usignuolo di Keats, che c’è anche nella poesia di Giancarla
Pinaffo, sarebbe l’usignuolo concreto, non quello generico.
L’usignuolo, che per la Pinaffo nel suo
alto provenzale, è l’arxinhoél ou-chiåntat
l’amòu/ant la coerta nou.èt ëd sant’Ana[iii],
che è l’usignolo generico, quello nominale, è un sostantivo-archetipo, direbbe
Gilbert Durand, e avete visto come goda di nomi melodiosi in tutte le lingue
del mondo, e niente, non basta, arriva la Pinaffo e, attraverso il sole e
passando dall’acqua, fa cantare l’arxinhoél,
che dovremmo leggere: arsignoeuél, e
fatalmente, sotto, sottentra in scena la “wòu.alp”(la
“w” si legge “u” dell’italiano “uomo”)
che sposta l’asse temporale, dal 26 luglio dell’arxinhoél al 26 dicembre, ‘nt
l’à.outa ëd san Sté.ou/ardjentà ‘d la
loena. Cavolo: a Keats
uniamo fatalmente l’immagine del nightingale,
a Blake l’immagine della tigre, alla
Pinaffo l’archetipo doppio dell’usignolo
e della volpe. Comunque, John Keats, nella
prima strofa della sua Ode, aveva chiamato l’usignolo driade, una divinità dei boschi e quindi dovette scrivere Amy
Lowell che Keats non si riferiva al singolo usignolo che cantava in quel
momento ma alla specie immortale.
Ma quel che voglio dire: il sostantivo-archetipo su cui, al momento,
pare che si debba fare una divagazione ziffiana è “xéxa”(leggi: sésa), che sarebbe la “falce fienaia”, a partire da Nhun, coume Andrèllia ou-sath-martlà la xéxa,
nessuno come Andrea sa martellare la falce fienaia[iv], nell’agosto del 90 l’ha
scritta la poetessa piemontese. Guarda te, oggi che mi propongo di fare una
divagazione ziffiana sull’archetipo della falce, per come l’aveva vista
maneggiare , la poetessa, nell’agosto del 90, da Andrèllia, è proprio il giorno
in cui nel calendario liturgico si fissa il santo che dà il nome ad Andrea. Scrisse
la Pinaffo: Lou batàlli ëd la chiòca/
ou-bat pu adazi ëd la sou.a mån, il battaglio della campana rintocca più
lento della sua mano.
Insomma, è questo il senso doppio della
cosiddétta poesia dialettale: la storia può essere un immenso testo più o meno
liturgico, nel quale, oltre alle iote e i punti, come voleva Léon Bloy, ne L’Âme
de Napoléon(1912), i sostantivi-archetipi di base non solo
non valgono meno dei versetti o poemi interi, ma addirittura ognuno, per sé e
in relazione agli altri, ha una valenza doppia: secondo Bloy, scrisse Borges[v], siamo versetti o parole o
lettere in un libro magico, e codesto libro incessante che sarebbe l’unica cosa
che è al mondo, viene duplicato dal poeta dialettale: più che giustificare un
libro col suo mondo, così assolutizzato e quasi assente perché mai trascritto, il
libro stesso giustifica il suo mondo, formalizzerebbe addirittura una sorta di “Madre del Libro” doppio, fatto della
cosiddètta lingua madre, che così trascritta forse legge solo il poeta e l’introduttore
di turno(stando ai 6 lettori virtuali calcolati, per sé e per il territorio in cui si parla la lingua tedesca, da Arno Schmidt), e della lingua nazionale, che
fa sì, come voleva Mallarmé, che il mondo esista per giustificare un libro.! v.s.gaudio
[i] Giancarla Pinaffo, Cartoulénax.Cartoline, Poesie nel patois francoprovenzale dell’alta Val
Grande di Lanzo, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2019: pag.3.
[ii] Jorge Luis Borges, L’usignuolo di Keats, © 1951 in: Idem, Altre inquisizioni ©1960; trad.it. cfr. “Universale
Economica Feltrinelli”, Milano 1997.
[iii] Cfr. Giancarla Pinaffo, op.cit.:pag.4.
[iv] Ibidem:pag.76.
[v] Cfr. Jorge Luis Borges, Del culto dei libri © 1951, in: Idem, Altre inquisizioni, trad.cit.
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