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E’ questo che vediamo in Isabelle Huppert: un tratto visivo, la relazione tra grande e piccolo viso, tra vestiboli[occhi, bocca, naso] e l’insieme del grande viso, che è, fisicamente, “armata” come se fosse nel paradigma del metallo e perciò non lieta, e che, per il visionatore, quando passa al suo meridiano con l’analemma esponenziale del suo fantasma, si fa di legno ma ha lo schema verbale di “portare luce”, “illuminare”, “irradiare”, “scintillare”, “lampeggiare”, “trapelare”.
Il bagliore didonico di Isabelle Huppert è questo riflesso fisico, di legno, uno sprazzo che, in realtà, viene da sotto, da Kên dell’esagramma di base, dal monte da cui traspare o trapela una sorta di luce zenitale o forse lunare, che è fatta dei fasci della pregnanza, della carica connotativa e del codice intermittente tra ristretto ed elaborato.
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