Insomma, ecco qua l’inarcarsi del Natale di Mario Grasso che, chiamato in causa per l’ultimo bingo di Natale prima della fine del mondo di cui a Slate.fr (clicca qui: lultime-binki-natale-prime-da-fine ), ci risponde a modo suo, ma non in dialetto come si auspicava, dal suo ebdomadario con Ulisse e Penelope, i Proci e il cavallo di Troia che, guardandolo dal deserto paludoso della Troia Grande, pare impossibile che la lussuria possa essersi inarcata, visto il pondus di Druuna (vedi il precedente post) e visto che la tipologia di Druuna l' abbiamo pubblicata per “lunarionuovo” il mensile di letteratura di Mario, da Sibari…
Questo Natale undici s’inarca e mi riporta ai dodici anni col giuoco dei colori propiziato dai vertici opposti di triangoli. Un placebo che quasi mi sostiene perché proviene da mani sincere e forti di Bambina. L’affidarsi è infallibile sostegno in questa vita di ponti e villeggiature.
Siamo tutti segnati da ricordi forse anche rimpianti ma lo scivolo agevola il procedere e maschere non mancano a coprire le rughe come i ghigni. Alcuni tra i miei pochi coetanei in corsa, rivolgono indietro l’occhio e tritano il cemento impastandolo con le foglie morte dei viali al tramonto. propongono sciroppi per le tossi d’autunno, che a Natale sono catarri. E sbagliano misture. L’elisir lo propinano i governi nostri baroni, e noi beviamo pecore e montoni, proni ai poteri sadici e meschini.
Natale di quest’anno è un po’ da sbirro nella cabala sua che adesso scade per cedere a un simbolo di peggiori promesse. Fate caso ai si dice: la dozzina, il dozzinale quasi un emblema ad algebra di basso impero, da macelleria, da suburbio, da lupanare olandese del Settecento, quando, come testimonia Giacomo Casanova, non usava l’intimo nemmeno, per le donne addette in quel Paese alle scale per pulire le vetrate alte dei negozi. Né si prospetta meglio il tredici se, come è noto, cela il traditore Giuda iscariota.
Ecco perché questo Natale undici s’inarca e mi convince al regresso di Fulton, a dare onore al volo del caprimulgo. Uccello da metafora per tutti il Caprimulgo da scrivere con iniziale maiuscola al pensiero del suo vogare contro nel suo fendere l’aria come le onde il pesce bomba che arretra e intanto emette dalla bocca - e lancia - bolle d’aria compressa.
C’è questa affabile corrispondenza tra le specie in terra, in aria, in acqua. Una complicità che ha pronti anelli che congiungono, gradini che sfumano e addolciscono come fanno gli anni che stemperano il climax discendente-ascendente consegnando al dissolversi ogni cosa con la grazia del graduale.
Ecco perché, mi dico, il Natale s’inarca nel suo ripetersi e morire proprio dell’uomo e di tutto. Ripetersi cambiando colori e maschere, cabala e direzioni. Ma mio padre ignorava, per convincersi meglio a sopravvivere pregava a piedi della santa croce per sanare i peccati che l’Altura ha inventato per opprimere immune e dare mano all’impasto misericordioso delle farine con le feste e le forche, in questo mondo di barche e di piroscafi, piroghe e panfili in onta alla fame di chi muore per mancanza di cibo o di una culla. Una legge di natura che il Creatore mostra creando il gheppio e il caprimulgo, lo squalo avanti-tutta e il bomba arretratore.
Natale tuttavia questo ancora illuminato a petrolio. Domani non ci saremo quelli di oggi e tutti senza naso non potremo conoscere l’odore delle luci nucleari (asprigno o di melassa?).
Ecco il vantaggio della conoscenza propiziata dal male quando le Sirene non sedussero Ulisse e lui poté raggiungere Itaca per dire “Nel fimo giace questo che pare a me cane sì’ bello?” Così disse Ulisse celato da pellegrino prima di sterminare uno a uno i Proci.
E tutto per Penelope: il ritorno, la strage dei principi damerini, lui che aveva inventato il Cavallo per bruciare Troia, lui che aveva fatto innamorare Nausicaa, era sfuggito a Circe, aveva spinto a slancio di generosità persino Eolo, che spontaneamente gli aveva fatto dono di un enorme otre di pelle di chissà quale capradinosaura, con dentro sigillati i venti.
Itaca o Penelope voci al femminile a richiamarlo anche se avesse voluto aggiungere Patria, sarebbe stato ancora tutto a senso unico femminile.
Natale è maschile; Pasqua è declinata al femminile. Viaggiamo tra simboli di rinnovamento e di incontro, ma di sesso opposto. Anche per questo – a farci caso meglio, lo dico a poeti come Marta Anice, - potrebbe essere un segno di speranza e letizia questo intenso inarcarsi del Natale.
L’ INARCARSI DEL NATALE
di Mario Grasso
Questo Natale undici s’inarca e mi riporta ai dodici anni col giuoco dei colori propiziato dai vertici opposti di triangoli. Un placebo che quasi mi sostiene perché proviene da mani sincere e forti di Bambina. L’affidarsi è infallibile sostegno in questa vita di ponti e villeggiature.
Siamo tutti segnati da ricordi forse anche rimpianti ma lo scivolo agevola il procedere e maschere non mancano a coprire le rughe come i ghigni. Alcuni tra i miei pochi coetanei in corsa, rivolgono indietro l’occhio e tritano il cemento impastandolo con le foglie morte dei viali al tramonto. propongono sciroppi per le tossi d’autunno, che a Natale sono catarri. E sbagliano misture. L’elisir lo propinano i governi nostri baroni, e noi beviamo pecore e montoni, proni ai poteri sadici e meschini.
Natale di quest’anno è un po’ da sbirro nella cabala sua che adesso scade per cedere a un simbolo di peggiori promesse. Fate caso ai si dice: la dozzina, il dozzinale quasi un emblema ad algebra di basso impero, da macelleria, da suburbio, da lupanare olandese del Settecento, quando, come testimonia Giacomo Casanova, non usava l’intimo nemmeno, per le donne addette in quel Paese alle scale per pulire le vetrate alte dei negozi. Né si prospetta meglio il tredici se, come è noto, cela il traditore Giuda iscariota.
Ecco perché questo Natale undici s’inarca e mi convince al regresso di Fulton, a dare onore al volo del caprimulgo. Uccello da metafora per tutti il Caprimulgo da scrivere con iniziale maiuscola al pensiero del suo vogare contro nel suo fendere l’aria come le onde il pesce bomba che arretra e intanto emette dalla bocca - e lancia - bolle d’aria compressa.
C’è questa affabile corrispondenza tra le specie in terra, in aria, in acqua. Una complicità che ha pronti anelli che congiungono, gradini che sfumano e addolciscono come fanno gli anni che stemperano il climax discendente-ascendente consegnando al dissolversi ogni cosa con la grazia del graduale.
Ecco perché, mi dico, il Natale s’inarca nel suo ripetersi e morire proprio dell’uomo e di tutto. Ripetersi cambiando colori e maschere, cabala e direzioni. Ma mio padre ignorava, per convincersi meglio a sopravvivere pregava a piedi della santa croce per sanare i peccati che l’Altura ha inventato per opprimere immune e dare mano all’impasto misericordioso delle farine con le feste e le forche, in questo mondo di barche e di piroscafi, piroghe e panfili in onta alla fame di chi muore per mancanza di cibo o di una culla. Una legge di natura che il Creatore mostra creando il gheppio e il caprimulgo, lo squalo avanti-tutta e il bomba arretratore.
Natale tuttavia questo ancora illuminato a petrolio. Domani non ci saremo quelli di oggi e tutti senza naso non potremo conoscere l’odore delle luci nucleari (asprigno o di melassa?).
Ecco il vantaggio della conoscenza propiziata dal male quando le Sirene non sedussero Ulisse e lui poté raggiungere Itaca per dire “Nel fimo giace questo che pare a me cane sì’ bello?” Così disse Ulisse celato da pellegrino prima di sterminare uno a uno i Proci.
E tutto per Penelope: il ritorno, la strage dei principi damerini, lui che aveva inventato il Cavallo per bruciare Troia, lui che aveva fatto innamorare Nausicaa, era sfuggito a Circe, aveva spinto a slancio di generosità persino Eolo, che spontaneamente gli aveva fatto dono di un enorme otre di pelle di chissà quale capradinosaura, con dentro sigillati i venti.
Itaca o Penelope voci al femminile a richiamarlo anche se avesse voluto aggiungere Patria, sarebbe stato ancora tutto a senso unico femminile.
Natale è maschile; Pasqua è declinata al femminile. Viaggiamo tra simboli di rinnovamento e di incontro, ma di sesso opposto. Anche per questo – a farci caso meglio, lo dico a poeti come Marta Anice, - potrebbe essere un segno di speranza e letizia questo intenso inarcarsi del Natale.
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