George Noskov: la semplicità perturbante
Ettore
Bonessio di Terzet
George Noskov, Mars |
Ho letto, ho
pensato, ma ho capito poco dei vari legami e non m’importa se hai fratelli e
figli, se ti sei sposato per amore o per volontà paterna: forse non voglio
neanche capire come non capisco la teorie delle stringhe per la gravità
quantistica, l’ormai debole potenza energetica che abbiamo. Sono in piena
confusione, ma quando leggo i fatti che hai detto, ecco che non posso che
alzare gli occhi e ringraziarti perché non sono ancora sprofondato nella
disperazione, e che la vita ancora qualcosa attende, per i tuoi doni, da me.
cadono
grandi petali di rose
come in una
festa di carnevale
sulle teste
sulle pietre sui fiori
dentro le
auto degli amanti
dentro le
chiese vuote
sopra i
tricorni consunti
sulle penne
delle mimetiche
sui flashes
dei minatori
sul fuoco
dei pompieri.
Cadono non
si sa da dove
continuano a
cadere a profumare
la terra ma
non si possono cogliere
non si
possono portare a casa
si sciolgono
come acqua alla presa.
Un bel
mistero questa pioggia rosata
un’allucinazione
collettiva dissero
ma gli
uomini continuarono a narrare
questa
storia che è giunta sino a me
L’albero di
Giotto non è verticale, ficcato com’è alle montagne che sono massi squadrati di
mura ciclopiche, elementi modulari per la costruzione di case, di città.
Diverso da quello morbido di Masolino, mentre gli spazi delle figure stanno uno
sopra l’altro come un desiderio di segno pittorico – di parola - presentato
contemporaneamente. Giotto ha sempre sentito la necessità-desiderio-tentativo
di presentare i segni contemporaneamente.
Come gli artistipoeti.
Qualcuno si
è arreso e ha inventato una disposizione spaziotemporale a progressione, come
Michelangelo. Altri non si sono arresi all’impossibilità e si sono incagliati
tra le insidie dei segni e sono andati fuori campo, fuori posto: Beuys,
Mallarmé.
Stare nel
giardino che ci è dato, pezzetto o villa, e renderlo il più bello possibile
secondo l’intuizione della nostra personalità, inventando figure in spaziotempi
sempre rinnovati.
Così la
semplicità figurale di Noskov. Tanto semplice, dopo un buon giro tecnico, da
sfiorare la complessità. Ossimoro di una cultura che vive e opera direttamente,
con pochissime mediazioni, mentre pensa e crede attraverso liturgie complesse.
Cultura artistica, quella russa che, nell’odierna Europa, non si sente nel
proprio temenos , nella sua casa o patria perché sente la
superficialità delle proposte e delle proposizioni, il luccichio falsificante
delle rumorosità, la troppo facile egoticità (sino all’egoismo) che uccide la
persona, la confusione tra il nero e il bianco, loro che hanno avuto Malevich.
Noskov, piuttosto, dice con i suoi testi scritturali e iconografici. la
necessità e il desiderio di cantare la vita dalla semplice e perturbante
molteplicità, riflessa dall’autore nelle opacità dominanti il
figurato.
Mescolanza
di antico e di nuovo, rimescolamento di già-visto e di ri-fatto, complicanze di
aristocratico e di plebeo, di massa e di elitarietà secondo una visione
angosciata e drammatica (quindi altamente ironica) dell’uomo dell’umanità,
dell’arte degli artisti. Visione prospettata sul presente secondo la
personalità della propria persona, libera da ogni vincolo, libera da ogni altro
condizionamento, libera da ogni altra convenzione posta all’arte e alla vita.
Vivere liberamente è vivere artisticamente. Senza credersi onnipotenti e
autosufficienti. Autonomi, sapendo di essere mancanti, che qualche cosa ci
sfugge, e che ricerchiamo i territori dell’arte/della poesia anche per questo.
George Noskov, Creation Cosmology |
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