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NELLA CASA DI
NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI
NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI
di Maurizio Nocera
C. B.
o dell’eccessiva
espressività.
Era estate,
chi non lo ricorda?
quando improvvisamente
sulla linea dell’orizzonte
adriatico
apparve un tempo di neve,
il tempo delle anime
evanescenti,
il tempo della nuvole teatranti.
All’incontro con le onde
forate,
quelle ormai svanenti,
c’eravamo abituati da un
bel po’,
bastava solo aprire le ali
sull’Oriente latticinoso
per sentirci addosso il
fiato
dell’anima leggera
dello spirito fiabesco
del fantasma vellutato
vagolante nel palazzo
moresco.
Bastava solo guardare i
monti d’Albania
per sentirci arrivare
festoso
il fiato sibilante,
come rugiada mediterranea
e concime per una
terra snervata d’umidità
che, a mo’ di guizzo
scintillante,
ci svegliasse in una vigilia
d’aurore autunnali
con una nuvola bianca
scalatrice di anime in
pena,
sulla linea della curva
amata,
dove sauri ramarri betisse
mesar-lì arsapi,
e pure civette cornute
danzavano il ballo delle
Marie di Nardò.
Il suo era un soffio
meglio un fiato
come di un raggio verde,
come di un respiro di
luce,
come di un vortice
all’infinito,
che fiatava sulla terra di
mezzo
spazzandola della nebbia
che sfasciava
la Casa di Nostra Signora
dei Turchi.
Si trattava dell’anima
dell’Umile Straziato,
dell’Irrapresentabile per eccellenza,
dell’anima fragile eterea
di un Bambino nato gigante
con gli occhi cerchiati di
ramarro salentino.
Sapevamo che lo spirito di
Carmelo
volteggiava sui cieli di
Finibusterræ
alla ricerca di un punto di contatto.
C. B.
sapeva giocare con la vita
con furore senza banalità
sognando mondi altri,
Città del Sole disperse
nel cielo,
utopiche Atlantidi.
Spesso dolorava il suo
fiato di luce di quinte,
a volte disperava anche,
ma mai s’arrendeva,
mai gettava sul selciato
la ritorta spada.
Dolorava sì,
dolorava e straziava
quasi fosse lombrico di
pineto
unto di linfa raggrumata
fino a quando
l’orchestra sinfonica
della sua voce
- voce di voci
non abbandonò per sempre
il palcoscenico della
vita.
Fu così che
noi rimanemmo come di
pietra
quella delle cave di Santa
Cesarea Terme,
e irrigidimmo fummo ghiaccio polvere nulla.
Fu allora che C. B. spirò,
spandendo il suo fiato
odoroso di timo.
Ci fu chi favoleggiò
universi beniani,
mari aperti come di
aurore,
onde gonfie di spuma,
poi lampi folgoranti del
cielo,
crocefissi insaguinati,
e piroette poetiche.
Fu poesia ma non per noi.
Maurizio Nocera
Lecce, 16 marzo 2012, Cartella stampata in 51
esemplari firmati e numerati dalla Tipografia del Commercio in occasione del
10° Anniversario della morte di Carmelo Bene.