La stilografica Montegrappa cm. 46x62 2002 |
· Gli angeli ridono con la pop art che
sconvolse il mondo e l’accolgono
Loredana Cerveglieri descrive i suoi
angeli come persone, spiega perché Didirè ha paura: che sia la paura il segno dell'umano? Lievi come
angeli, pesanti come persone, gli angeli della Cerveglieri trascorrono su
quell'ineffabile confine che da sempre divide l'occhio e la mente, la natura e
il sogno e da sempre cede all'oro, quell'oro che fu dio e fu cielo e fu passaggio
tra la terra e quell'altrove
cui, da sempre, aspiriamo.
I suoi lavori hanno la grazia
della levità, che non è leggerezza, è sospiro e ansimo. Hanno, sì, la traccia
dell'amato Licini, ma hanno anche la presenza dura della contemporaneità,
segni, cose, intarsi, corde e ricordi.
Loredana Cerveglieri sta in
mezzo, tra la tentazione del racconto e l'amore dei suoi protagonisti, Didirè,
Melisante, Elitès: deve dar loro una forma, deve dar loro
una storia. E la
pittura si presta a dividere il suo sapere, le tecniche: pastello, collage,
acrilico e olio, carte, accogliendo come educati objets trouvés quei pezzi di
vita vera che gli angeli inventati assumono come segni di una presenza, di una
realtà, di un'esistenza.
Dunque la pittura corre sul binario doppio di una doppia evocazione
che da e prende dalla vita nell'immaginare e nel comporre: una storia, la sua
figura.
Così maschere, giochi e
tentazioni, così paure e dubbi stanno, lievi, sopra il crinale delle tecniche e
delle loro regole.
Ammicca il ricordo di Licini,
ammicca quell'oro bizantino che Vasilij Kandinskij importò dalla Russia alla Germania e i suoi mosaici luminosi, sommessi
degli echi dei lucori vecchi di millenni. Ammicca lo spazio, che ha visto
Nicolas De Stael e quei suoi cieli dolorosamente divisi come pietre di un mondo
in costruzione, lento, grave, faticoso.
Gli angeli di Loredana
Cerveglieri piantano acuto il segno di una presenza che si fa largo tra la
storia della pittura e le sue regole e la loro stessa storia che si va facendo
via via.
Sanno tutto di noi, hanno paura e desideri. Ridono con la pop art che sconvolse il mondo e
l'accolgono, pazienti, rileggendola come fosse una cosa normale, d'angeli e di uomini, del mondo.
BEATRICE BUSCAROLI
·
"Miracle di Lancome" 46x62 2002 |
"Un paio di scarponcini gialli" cm. 46x62 2002 |
"Due scarpe a fiori" cm. 46x62 2002 |
"La coppa di gelato" cm. 46x62 2002 |
"L'anello
Damiani" cm. 46x62 2002 (Particolare)
· La pensosità pittorica di “Vs. la pop art”
di Loredana
Cerveglieri
L’anello Damiani mi fa ripensare al trofeo di Thorstein
Veblen di cui a “Isabella Rossellini, l’immagine-Zen…”[i]
per la campagna pubblicitaria per quella azienda di gioielli con le immagini,
prima, di Fabrizio Ferri e, poi, di Dominique Issermann.
Il gioiello, dato come punctum,
supplemento, “quello che io aggiungo alla foto e che tuttavia è già nella foto”, che, in quella campagna
pubblicitaria, aveva una qualità aggiuntiva: la pensosità, tanto che la pensosità
cinematografica espressa dall’immagine della Rossellini fotografata da
Fabrizio Ferri, coinvolgeva tanto il punctum
da rendere la foto erotica.
Ora, io penso che ogni qualvolta ci sia un oggetto in primo
piano, regola fondamentale della pop art, l’oggetto ha sempre dentro, ma
potrebbe essere benissimo anche dietro, il pieno
del dispendio, che è una profondità assente, e un’emozione concentrata tra
silenzio e ineffabile che è il vuoto del
dispendio. Fosse anche, l’oggetto, una penna stilografica o degli
scarponcini gialli.
Il pieno del dispendio
, qui, nella “Vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri non può essere costituito
dalla concretezza dell’oggetto, e nemmeno il vuoto può apparire per rendere speculare l’emozione concentrata del
visionatore all’oggetto visionato.
La pop art agisce demoltiplicando l’immagine con il primo
piano o l’ingrandimento, e la rilevanza del dettaglio. Sarebbe(ro) l’Indicatore
Globale che Abraham Moles chiama complessità.
Poi procede con la retorica dell’ambiguità connotativa, l’Indicatore Globale
della polisemia.
La “vs. la pop art” di Loredana Cerveglieri sospende il senso senza operare su di
esso alcuna effrazione: è come se,
nella foto di Ferri della Rossellini-Damiani, l’attrice fosse senza accessorio,
per cui avremmo una proiezione affettiva di “disponibilità appetibile” ma non “preziosa”
e un punctum di “pensosità” ma non di “pensosità erotica”.
Voglio dire questo: la pensosità
pittorica del punctum nella “vs.
la pop art” di Loredana Cerveglieri è come se desse corporeità all’oggetto
raffigurato: un po’ come nel manga, dove tanto è innocente, ingenuo e candido
il viso, tanto è perverso, vizioso e immorale il corpo, la delicata sospensione del senso , che c’è in questa operazione di
Loredana Cerveglieri, illumina una
disponibilità quasi intima e profonda, che non è dell’oggetto ma che è del senso sospeso che l’oggetto investe
nel socius.
La “vs.pop art” è la trasmutazione del trofeo di Thorstein
Veblen che è mostrato senza il corpo-alto dell’attrice che espone il trofeo con
le parti esposte ed esponibili(polso, dita, collo, petto, orecchie), ma è
mostrato e reso visibile, delicatamente pop, con il tasso di complessità e di
polisemia innalzato non dall’agio somatico di un portatore-indossatore dell’oggetto
ma dal trofeo che, senza lo “sciupìo vistoso” del corpo della classe agiata,
allude frontalmente a una sua autonoma “fierezza dell’agio”, indossata di volta
in volta da portatori che il visionatore fantasmatizza per il suo oggetto a .
Difatti, di questi tempi, può capitare che gli scarponcini
gialli siano portati, che so?, da Miele di Milo Manara e l’anello Damiani sia
infilato al dito di un personaggio sconosciuto sorpreso in una foto Flickr
mentre mangia lenticchie cuisinées à l’Auvergnate, tanto che, essendo a Péronne
in Picardie, la chiamammo (Len)Tille Péronne, pensando che fosse la cugina di
Aurélia Steiner, il personaggio nostro e di Marguerite Duras. E le scarpe con i
fiori? Ma da Madonna che, adesso in menopausa o quasi , ne decanta la verticale
fallicità, ammesso che a portarle sia la Madonna di qualche lustro fa. La penna
stilografica è talmente pensosa nella
sua pittoricità che la vedo impugnata da chi forse a malapena riesce a vergare
le iniziali del suo nome, ma anche da chi non fa espressamente l’elogio del
pesante come Jean Cau ma di chi è virtuoso scrivente della corrente industria
culturale, un bel romanziere del new-pop alla faccia e in barba di qualsiasi
intemerato novello(e controstorico?) Guido Morselli.
[i]
Cfr. V.S. Gaudio, Isabella Rossellini. L’immagine-zen
e il trofeo di Thorstein Veblen, in “Zeta”, rivista internazionale di
poesia e ricerche, n.79/80, Campanotto editore, Udine giugno 2007.
·
|