Jole Tognelli: Gli aborghesi in abito da sera da quando al Teatro dell'Opera hanno tolto l'obbligo dell'abito da sera
Dall’ Archivio di UH: Le
scritture della meraviglia, 1986:
Jole
Tognelli
Gli aborghesi in abito da sera da quando
al Teatro dell’Opera hanno tolto l’obbligo
dell’abito da sera
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CONVITATO DI PIETRA
Conta i fanali e
i passi –
sfacciata
l’iniziale sicurezza
nella notte
opprimente
metafora del
nulla.
Eco del “verrò”
cavernoso
da una gola di
pietra.
A New York le
strade si somigliano
perdere
ritrovare perdere
di quartiere in
quartiere
retorica
dell’invisibile
visibile.
Luce incerta sul
mare lontano
oltraggiato dal
doposé
insolvibile,
sciaguattio
monotono
di rottami
marcescenti.
Irrisoria la
condanna
nell’alba
soffocata da grida di gabbiani
e freddi i resti
della cena
nell’alcova dorata.
SANCTA SUSANNA
Sillabe
striscianti si estenuano
in urti
orchestrali.
Affocati.
Troppo in alto
il membro del Cristo
di Ceroli,
scalasusanna
tenta invano
di appendervi la
corona nuziale.
“Peccato,
Susanna”
brulichio
accusante da grate tombali
dove annidano
con la morte
madide ascesi.
Stremate
ansimano
le quarantore
offerenti.
Beve immaginario
incenso
da labbra di
legno
l’invasata
Susanna.
Oscillano gioia
candele
Accendendo
roveti stordenti.
Con la rosa
spalanca il rosone
un ansito di
primavera.
“Peccato,
peccato, Susanna”
rancore
timore
speranza.
Cristo sceso di
croce
si veste dietro
il sipario
come una
comparsa qualsiasi.
Resta la coda
verbale
impigliata nel
santo sgomento.
Leonora,
addio
Leonora con luna
in incognito
nel giardino
appassito
delle ambigue
suggestioni
“Leonora, addio”
violini poggiati
a celli
sfiniti da mal
sottile.
Novermore
ricorrenti
appena il tempo
di bere
un consommé in
tazza
preparato da
Pallade
eh
ah
oh
(Storbini,
Barbiere)
il corvo, ebony bird,
divorato l’O
“Lenore,
addio”.
“Ellénore adieu
le cimitière est un beau jardin”
ali d’angeli
sui silenzi
dell’anima
e roselline
rosse di brughiera.
Raccoglie
all’alba il netturbino
il manichino
del Trovatore.
ELIOGABALO RICEVE OTELLO
“Finalment i
suma”
esclamò il Moro
affacciato al
finestrino
di terza classe
(veniva da
Milano).
Nel piazzale
della stazione
evviva di
clandestini
- conclamati
fratelli –
mosche ronzanti
frecce di
calabroni
droga e
contrabbando d’armi
e generale
compiacenza.
Negli orti
frangipani
destinati ai
buzzurri
(Soldato
escluso)
dalla casa del
siriano avito
già teatro
d’opera
l’imperatore gay
occhi
porcellanati assenti
dipinto lo
smaschiato volto
gli andò
incontro
annebbiando lo
sguardo
del trasognato
Ermafrodito.
Verdi assente.
“Come
pioveva”
C’è sempre un
vascello fantasma
che naviga per
proprio conto
perduto timone e
ancora
rimanda l’approdo.
Il sonno e il
mistero lo guida.
L’amore
che spenge la
fiaccola?
Com’è bianca la
notte
e com’è la nera
spallidisce lo
sguardo ed il volto
momento
infittito
dall’abbandono.
La colpa
d’essere giovane,
rammenta
Tristano,
la mano
rugosa nei radi
capelli
i piedi agli
alari.
R pigro ripiega
sul “come
pioveva” appena accennato
fra i battiti
della dentiera.
Tristan
et Iseut, possibilità irriguardosa
da
non considerare
Alterato il tema
dello sguardo
da incidentali
divergenze
dovute a quattro
lenti
bifocali.
CONSUNTIVO
Successive le
protesi dell’anima.
Demolite le
congiunzioni
dell’effusivo
nominale
la quinta parte
della sonata
- abbastanza
insueta
nel traghetto
normale –
a forma di pera
o di mela
(eguali gli
ombelichi)
largo cavilloso
eccedente
satireggia
l’imbroglio tonale.
Soltanto?
SEI LIEDER
I.
Bacia l’oriente
amato.
Dov’è l’oriente
e dove l’amato?
II.
Non sapevamo
d’essere giovani
quando le stelle
impallidirono
al canto della
lodola.
III.
“Sono io”.
Arsero i cedri
del Libano
nel meriggio
dalle cento orchestre.
“Tu, davvero? o
l’altro
e l’altro
ancora?”
IV.
Volto di pioggia
tradita
dimensione
ad oscurare
l’attimo.
V.
Freddo ritorno.
“Non parto, non
parto più”.
Insiste contro
il cielo
la vetta del
cipresso.
Nera.
VI.
Perduto il
sogno.
Oggetto di
cristallo
smemorato.
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Postilla postpost e “ripostazione” del
post che,
comparso su “paperblog”, il giorno dopo scomparse…
Questo post è stato pubblicato originariamente l’1 maggio
2012 alle ore 15.56 ed è apparso, successivamente, in “paperblog”, nelle
sezioni “Cultura” e “Arte” e con vari paradigmi di connessione(“teatro”, “jole
tognelli”, ecc.).
Il giorno dopo, su “paperblog” non c’era più. Scomparso.
Ho chiesto lumi a “paperblog” e la gentile Silvia ha
risposto l’indomani(stamattina 3 maggio per chi legge) che non sapeva cosa fosse
successo e da cosa potesse dipendere quella scomparsa e che non c’era, verso il
sito “gaudia 2.0”, nessun complotto; aggiungeva l’invito a ripostarlo in modo
che il server automaticamente lo avrebbe di nuovo ripostato nella piattaforma
“paperblog”.
Riposto dunque il post con il poemetto di Jole Tognelli
sugli Aborghesi al Teatro dell’Opera, luogo a cui lei dedicò gran parte del suo
esserci, avendo lavorato per l’ufficio stampa di questo ente.
"""""""""""""""""""""[v.s.gaudio]""""""""""