2.
per bucare l’acqua, il corpo
morbido e pieno guardandoti dietro
la nuca, le spalle, che si è
piantato e non può toccarsi
e tra terra, erba e legno e
questa luce che sa di vetro
la piega del podice dentro i
jeans che sai portare tra membra
e giunture, e picciune
‘mpracchjatu, l’occhio non è sdraiato
in superficie ma è lo sguardo
che schipiciu come l’eclittica
sale lungo il tuo petto che
ha mântici enormi e limiti caldi
come una notte d’amore du
marcǔne che dura sicura e dolce
sino all’alba cu rusticu
docile e gruossu nella fessura
del giorno che abbraccia e ha
tenera e madida la carne
se la cavalcata con cui
enumero e scandisco tutto il tuo corpo
è una linea sottile e obliqua
che non ha più la linearità dell’ovvio
come potrei sborrarti sul
muso se il tuo viso collimasse in pieno
con l’orizzonte dello
sguardo, più rendo profondo il verde della camicia
e più morbido il colore dei
jeans e più avanza l’Heimlich
come se quell’Angelus
meridiano della Spaccusa fosse stato
invece lungo e largo come
quello del vespro, né si può dire che
sia stato il vento a gettare
i colori cadendo con il sole indorando
i deltoidi e i pallanti con
la sera, gonfia di pieghe e del tuo buco
più stretto, scivoloso e
solido che si inarca ed è perciò reso
più sottile alla base e
abitabile