v.s.gaudio
Le Gauloises dell’altro
e l’Ur-Milch della
capra
La Stimmung con Guido
Morselli sulla Dissipatio H.G.
L’ignoto mi è addosso e io sono solo senza scampo,
una creatura umana non è
fatta per trovarsi a questo,
l’ultimo degli uomini, il
superstite e questo, sì, è indubbiamente assurdo, ingiusto, grottesco.
Io ci sono ancora, e in me si
inaugurano gli abissi della paura;
una paura che si concentra
mentre si dilata, mentre impregna tutto.
Ho freddo. La neve, là fuori,
continua a cadere.
Mi alzo, ho visto su un
tavolino una bottiglia di Hénniez, ne bevo un sorso.
Sono dentro l’etica della
devoluzione, coperto con la redingote di Battaglia,
chiudo gli occhi e per
qualche istante
è nella mia infelicità
abituale che liquido l’altrove.
Adesso vivrò nella
prosternazione o nella costernazione
come ad altri che avevano un
bagliore di destino
qualcosa di cui essi
vivevano,
questa indecifrabilità
dell’altro,
che come il vescovo di Pernambouc
o il “mio piccolo francese”
lo si trova buono e bello,lo
si santifica e lo si divora[i].
Un’idea mi attraversa, e stasera è un pensiero
coerente, non un fantasma,
non un ricordo. Il prologo
dell’Evento e la Caverna di Sifone: io sono
stato
eccettuato
all’interno di una montagna:
è possibile che questa
sospensione abbia una finalità enigmatica,
che questo sia il privilegio
dei fenomeni estremi
e in generale della
catastrofe, e il suo ordine segreto.
Se l’umano mi aspetta dopo il
2 giugno, mi riaffaccerò sul reale
in fondo alla piramide
invertita, individuo-vertice,
il culmine di una piramide,
ritta o capovolta che sia,
è solo un punto, la fatalità
indistruttibile dell’Alterità
che resiste a tutto, alla
conquista, al razzismo, allo sterminio,
al virus della differenza,
allo psicodramma dell’alienazione.
Da un lato l’Altro è sempre
già morto, dall’altro lato è indistruttibile
anche se l’Evento è pensabile
che si ripeta a mia destinazione,
è stato qualcosa di globale,
un fenomeno super-individuale, inerente al genus
non c’è posto per la mia
ignoranza e la mia perfetta inadeguatezza
resta solo l’irredentismo
dell’oggetto, il Seagram’s Canadian
Whisky, le
Gauloises, l’Hénniez, la redingote Battaglia
è qui che l’Altro è
inintelligibile e crudele
qui la metafora giunge
spossata tanto che la trama
è implosa nella caverna di
Sifone con tutto
il prossenetismo della
differenza.
Una volta circoscritta la Terra come sfera, come
spazio finito,
davvero non esiste altro che
la fatalità del turismo circolare
che assorbe tutte le
differenze e si esaurisce
nell’esotismo più triviale?
Ci vorrebbe un mezzo di
trasporto, ma non prenderò la solita utilitaria
mi metto in viaggio a piedi,
bisogna salire a quasi duemila metri,
la strada si snoda a serpe
sul versante più fresco e povero di Widmad,
raggiungo presto il tetto
della valle, un tessuto di nubi oscure
in cui penetro ritrovando le
ombre che avevo lasciato in basso,
l’Apocalisse e Borges e il
mio cognac spagnolo
che, è questo l’esotismo, è
la percezione acuta e immediata
di una incomprensibilità
eterna, ciò che più conta non è il regime
della differenza e
dell’indifferenziazione bensì l’incomprensibilità
eterna, l’irriducibile
estraneità delle culture, dei costumi, dei volti,
dei linguaggi.
Se ne vedrò di vivi, non darò ragione all’Apocalisse
mi sentirò un personaggio
inventato, né prescelto, né reietto
la cosa peggiore è la
comprensione, che non è altro che
una funzione sentimentale e
inutile, non mi ingannerà l’intimità
né il paese, né il viaggio,
né il pittoresco, né me stesso
non è necessario per sentire
lo choc dell’esotismo
ricorrere all’episodio
scaduto del viaggio,
per questo il cammino è un
sotterfugio, ma è più appropriato
del viaggio, in cui nessuno
mi si fa incontro
solo la paura mi è sopra di
nuovo
in questa
deterritorializzazione lenta, in cui il mio corpo
non sa dov’è, mentre per
quest’assenza la mente si esalta
perché la Dissipatio Humani
Generis non impedisce a un carburatore
di regolare la carburazione,
e mattina appena fatta la ritrovo
la mia utilitaria con uno
stambecco piccolo steso fra le ruote,
addormentato al riparo della
pioggia.
Come anamorfosi della Terra, questo atterrare in una
città nuova,
in una lingua straniera, è il
corpo che ritrova il suo sguardo,
rivedrò Crisopoli, sotto la
pioggia, verso il Centro,imbocco la Via Calvino,
riconosco la Chiesa
evangelico-metodista, mi trasferisco alla sede della
“Società degli Amici
Quaccheri”, procedo verso l’”Association du Foyer Réformé”,
attraverso il primo dei
grandi viali che conducono al lago,
mi inoltro nel Business
Center in cui i fori bancari e mercantili
si raccomandano per la loro
assortita religiosità.
La strada del ritorno è sempre drammatica come
l’immagine fotografica,
l’oggetto si impone nella sua
discontinuità e nella sua immediatezza,
e io non riesco a imporre un
ordine,
ed è da qui da questa
prospettiva d’insieme, dal lato del senso,
che la mia speranza si ferma
davanti alle porte chiuse, il mondo è
ben deludente, se in questa
post-teologia del trans-storico non mi
accampo in un dettaglio che,
colto di sorpresa,
è sempre di un’evidenza
perfetta.
Ma la città non mi è nuova, di dentro e di fuori, è la
mia abitudine
e sono appena tornato, ma è
vero o no, che a mezza valle ho trovato
la strada allagata dal
torrente?
Le mie ruote sguazzavano
nell’acqua sino ai mozzi. Vado a vedere
l’utilitaria: è incrostata di
fango, fango fresco.
Il viaggio l’ho fatto, non è
una paramnesia, un falso ricordo.
Alla luce stessa di tutto ciò che è stato intrapreso
per sterminarlo, si illumina
l’indistruttibilità dell’Altro,
la psicologia, l’industria
clinico-culturale ,che è questa
sua densa concrezione
linguistico-letteraria che la rende una
delle eredi legittime della
retorica, e l’assenza totale di trame
interpersonali, perché son
certo che la paura mi è rimasta
impressa in viso anche se la
sera spogliandomi non ho turbamenti,
né fisici né psichici, perché
non mi servo più dello specchio
ed è questo segreto che mi
circonda di un certo mistero
di una certa selvatichezza,
questo bagliore d’impotenza
e di stupefazione quasi
fotografico che è in me e non si riflette,
rendo conto dello stato del
mondo in vostra assenza,
non dice Baudrillard che “si
fotografano dunque meglio
degli esseri per i quali
l’altro non esiste, o non esiste più”[ii]?
L’inumano è fotogenico, io sono l’ex-uomo, il mio
individuo
è in liquidazione, il mio
individuo psichico, l’uomo è cessato
perché è cessato il tempo,
cos’altro si può narrare in questa città
al mattino o in un deserto in
cui nulla permarrà della delicatezza
patafisica del mondo, non
sono più me stesso
senza identità bevo cognac
Dos Hermanos e fumo tabacco
Capstan(Navy Cut), è
altrettanto sicuro che sono fuori del tempo,
e sto scoprendo che l’eterno
per me che lo guardo da un’orbita
di parcheggio è la permanenza
del provvisorio,
la dilatazione estrema
dell’attimo, sono un’immagine
attraverso cui il mondo
impone la sua discontinuità,
il suo spezzettamento, la sua
istantaneità artificiale,
sono in uno stato di
differibilità assoluta, agisco ma non posso
preventivare la durata
dell’azione, so solo che è incalcolabile;
sto caricando la pipa, ma
quando sarò pronto per prendere
un fiammifero e accenderla?
In questa immagine c’è questa qualità, quella di un
universo
da cui il soggetto si è
ritirato, è la trama stessa dei dettagli dell’oggetto,
delle linee, della luce che
interrompe il soggetto e dunque il moto
che ha questa sua eternità,
scarna di aspetti arcani, che non risuona
con parole di tuono, come
s’immagina Bach, fatta di alba e tramonto,
le consuete file di auto in
osta, e l’ex-uomo uscito dalla mia pelle.
“O Eternità, parola di tuono”:
al Grande Emporio una ventina
di televisori, qualche apparecchio fotografico e cineprese, ceste di bottiglie
di cocacola, la pioggia cala, rada, sul Mercato di Widmad
in cima al Grande Emporio
all’altezza di tre metri circa da terra un cartellone enorme,
che riempiva una vetrina
all’Agenzia di Viaggi, un Kodachrome di metri 3x2 con la famosa arena bianca
delle Bahamas e l’invito “Voliamo laggiù-dove la vita è migliore” e c’è questo
vecchio Alban Berg, il concerto per violino in cui metteva in risalto i quattro
suoni per introdurre il corale “Es ist genug”, “Ora basta”, estratto dalla
luttuosa cantata di Bach O Ewigkeit, du
Donnerwort, “O Eternità, parola di tuono”, come se ci fosse un’occulta
parentela con le fantasie di Bach-Berg in cui Crisopoli incarna uno dei centri
motori del Monopolio, uno dei cervelli del Sistema(capitalistico), forse il suo
stomaco più potente e questo inseguimento di una delle capre dei miei pastori
per boschi e prati fradici, incontrata a caso, che letteralmente trascino verso
casa, la impastoio nella stalla vuota schivando le sue cozzatine,e la mungo
sino all’esaurimento, mio e suo.
e lo stemma smaltato e
maiuscolo della città di Crisopoli che ho preso a sassate:
il pedinamento che è la
doppia vita dell’altro,
l’altro esiste, l’ho seguito,
e questa evaporazione del
genere umano, senza combustione, intermedia,
l’Ur-Milch di un mullar[iii] impossibile, che
per un temperamento ripetitivo, come mi diceva Karpinsky, è il massimo del
nominalismo, in questa notte del 2 giugno in cui
la vita pensante e dunque a
Storia è cessata[iv]
e le cose risalendo la mulattiera nella Malga Ross d’ora in poi non ubbidiranno
come gli uomini alla chiamata della Morte.
“Ora basta”
tornando dalla grotta del
Sifone, la ragazza dall’occhio nero, la browning 7 e 65, l’avevo vicino, ed è
un’arma che non s’incanta, io sono stato eccettuato
all’interno di una montagna un’idea mi attraversa, e stavolta è un pensiero
coerente, non un fantasma,
né un segreto che debba
essere svelato, perché qui, a tale ora, nella caverna del Sifone, sotto questa
determinata luce, c’era qualcuno
e contemporaneamente non
c’era alcun senso a essere qui, in questo posto, in questo momento, di fatto
non c’era nessuno; io che ho seguito la capra vi posso garantire che non c’era
nessuno né s’avrà mai il momento drammatico in cui chi è inseguito faccia
dietrofront perché una capra non può essere colta da improvvisa ispirazione,
dalla coscienza improvvisa di essere seguita e che in questo imprevisto
voltafaccia esiga di sapere e mi domandi “Che cosa vuole?”
tutta la mia angoscia resta
attorno a questa illuminazione violenta:
farsi smascherare, nel
momento stesso in cui cerco di evitarlo,
l’altro è colui che si segue,
le dovrei dire, non contattandolo come interlocutore,
ma investendolo come sua
ombra, come suo doppio, come sua immagine,
in un’affinità senza fine,
reciproco Ur-Milch che deve durare
fino a esaurimento delle
forze.
La forma segreta dell’Altro non c’è in Piazza della
Borsa,
il luogo-dei-punti
dell’eternità che da sempre mi si destinava,
laddove il Mercato dei Mercati
si sublima, non abusivamente, nel soprannaturale:
ogni cosa è misteriosa,
fatale e accettabile
più dell’incontro, che è
sempre troppo vero, troppo diretto,
troppo indiscreto e non ha
segreto.
Giro la città perché il
pedinamento stesso è la doppia vita dell’altro,
riconosco i luoghi dove si
intanavano, nei mezzanini, in fondo ai cortili,
i partitati extra-partito, i
protestatari dell’ultra protesta, i sospettosi lavoratori
del Sud, gli
Anarchici,ironicamente, in Piazza della Parata.
L’aria è lucida, di
un’umidità compatta. Rivoli d’acqua piovana
confluiscono nel viale, e
hanno steso sull’asfalto, giorno dopo giorno,
uno strato leggero di
terriccio. Poco più di un velo, eppure qualcosa verdeggia
e cresce, e non la solita
erbetta municipale; sono piantine selvatiche. Il Mercato dei Mercati si
cambierà in campagna. Con i ranuncoli, la cicoria in fiore.
In tasca tengo, per lui, un
pacchetto di gauloises.
è quello di distruggere
l’altro, non per maledizione o per qualche altra pulsione di morte,ma a causa
della propria destinazione vitale. E anche perché l’altro esiste solo grazie
alla sottigliezza della devoluzione, questo movimento indiretto e sottile di
captazione, di seduzione, di devoluzione: rimettere a qualcun altro il fatto di
volere, di credere, di amare, di decidere, non è una rinuncia, è una strategia:
facendo di lui, di Karpinsky, il nostro destino, ne traiamo la più sottile
delle energie.
L’umanità c’era, ora ci sono
io, cosciente dell’artificio del proprio stato in questa sorta di doppio
artificiale mi sono esteriorizzato come altro per grazia dei segni
sono pervenuto all’incanto
della macchina, banale esattezza del mondo,
sempre più prossimo al nulla,
all’irredentismo, dell’oggetto.
In tasca tengo, per lui, per
l’ex-uomo fattosi oggetto irredento, un pacchetto di gauloises[vi].
[i] Cfr.
Jean Baudrillard, L’irriconciliazione,
in: Idem, La trasparenza del Male,
trad. it. Sugarco edizion, Milano 1991: pag. 157.
[ii]
Idem, L’esotismo radicale, in:
Idem,trad. it. cit.: pag.166.
[iii] Il
“Mullar” albanese che è la “pietra da mulino” o “mulli” che è il molino; o il
“mol” dell’antico bulgaro “moleti” che è lo “sporgere fuori” e quindi la”riva”,
la “sponda” dl romeno “mal”; insomma tutto un aggregato fonematico dell’acqua e
della pietra:la sponda, la riva, il molino, la pietra da molino; ma c’è anche,
per il “mulus” latino, il “myll”(pr.: “müll”) albanese: cfr. V.S.Gaudio, Aurélia Steiner de Durrës, © 2005.
[iv] Che,
essendo il manoscritto di Dissipatio H.G.
del 1973, dovrebbe essere la notte del 2 giugno 1973 , quando viene introdotta l’ora
legale, ma in Italia, non in Svizzera(Crisopoli, si sa, è Zürich).
[v]
“Tuttavia, sono venuto a Crisopoli per vederlo(il mio primo incontro cosciente
con lui), e sento che lo vedrò. Vero e presente. Ritto nel suo camice
bianco,macchiato di sangue sul petto dove l’hanno colpito. A braccia aperte. Ma
la testa china come quando, nella mia camera, mi ascoltava, appoggiato alla
finestra; e sotto il camice spunteranno i calzoni sgualciti”:Guido Morselli, Dissipatio H.G., Adelphi ,Milano
1977:pag.154.
[vi]
Karpinsky era quello che cercava di quietarmi:”Ma no, non si allarmi, non hanno
nessun rapporto con la sua neurosi, l’Analisi anzi le considera un sintomo
positivo”. O dottor Karpinsky, gli dico, ritroviamoci finalmente, non m’importa
né dove né come, ma ritroviamoci[cfr. Guido Morselli, Dissipatio H.G.,ed.cit.:pagg.137-138]. E lui, appena mi vede:”Ex
Uomō!Tiēnë e’ sigarētt?”
■ Rendiamo noto che, proprio oggi, è online il numero monografico di “In Limine ”, il numero 8, dedicato a Guido Morselli a cura di Alessandro Gaudio e Fabio Pierangeli:
$
F in_limine morselli ■
$
F in_limine morselli ■
2012
GUIDO MORSELLI
Per Guido
Morselli. Con le parole degli altri
|
Fabio Pierangeli
|
INTRODUZIONE ALLE LETTURE
Morselli
per intero
|
Alessandro Gaudio
|
LETTURE
Morselli e
l'Immaginario
|
Gianfranco de Turris
|
La musica
dell’uomo solo
|
Antonio Di Grado
|
Brave
borghesi o dell’uso romanzesco del documento
|
Alessandro Gaudio
|
Contro-critica
fantastica e fantasmatica di Roma senza papa con le carte di Propp
|
V.S. Gaudio
|
Ipotesi
narrative e ritratti femminili: a proposito dei racconti di Guido Morselli
|
Domenico Mezzina
|
Morselli e
Manzoni. Note a margine sulla morale cattolica
|
Maria Panetta
|
L’amorosa
dissipatio dell’Io morselliano
|
Silvio Raffo
|
Filosofia
dell’abbigliamento
|
Rinaldo Rinaldi
|
Guido
Morselli, l’inattualità di un contemporaneo
|
Andrea Santurbano
|
«Quand
l’amour meurt». I personaggi orfani di Guido Morselli
|
Linda Terziroli
|
Il
racconto della rimozione: Un dramma borghese di Guido Morselli
|
Luigi Weber
|
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