Anna De Simone, Case di poeti, Mautro Pagliai editore, Edizioni Polistamoa, Firenze 2012 |
Che dire? L’evoluzione della
poesia e dell’Arcadia?
Avevamo la Famiglia Raboni, cfr.
Sebastiano Vassalli, Arkadia(El
Bagatt, Bergamo 1983), e adesso avremo Casa Raboni? Con, è naturale, altri
accasati e non, l’importante è che, fatta salva l’Ici o l’Imu di adesso, o, il
che è essenziale, il valore catastale, ancorché il catasto non essendo
probatorio non serva a nulla, non abbiano( o non abbiano avuto) a temere per la
stabilità e la continuità del loro scrivere(mica si chiamano Anna Maria Ortese
che, guarda un po’ il caso, o la casa, venne sfrattata dal marito, proprietario
o presidente della Banca che teneva l’alloggio, di una qui accasata “poetessa”)
da pubblicare per conto, o a proprie spese o a proprie spese a loro insaputa,
della famosa casata.
Sintomatica la presenza di molti
poeti dialettali che, per questo, dovrebbero essere più interessati alla
arbitrarietà localistica dell’Ici che alla imposizione più larga e meno
campanilistica e parentale che è l’Imu.
Se non fosse stato per l’Ici, d’altronde,
e ancor prima per l’irredimibile catasto elettrico dell’Enel(tralasciando, poi,
l’indecenza- se fosse vera- diffusa da “Il Giornale” negli anni Novanta del
catasto italiano affidato alla cura degli albanesi in Albania!), non avremmo
avuto lo Zoning stilistico della poesia-faubourg. Lo Zoning è funzionale
alla struttura urbana e al mito geometrico e ortogonale, che contrae l’affettività
e gli attanti dei poeti dell’epica ipotattica, insomma i poeti dell’Ici sono
generati da questa deprivazione emotiva e dalla generalizzazione dell’attante,
dallo Zoning stilistico e dall’Ici
delle case dei poeti è venuto fuori il localismo della poesia dialettale, senza
pentacoli, che non va alla deriva, omogenea, condominiale, quartieristica,
cantonale, così ricca di promiscuità familiare tanto che la poesia-faubourg, almeno in Italia, vada
denominata come poesia dell’Ici?[cfr. V.S.Gaudio, L’epica urbana e la poetica ipotattica,
“Capoverso” n.7, I semestre 2004]. Questi poeti hanno particolarità testuali come enunciazioni performative e assenza di determinazioni qualificative con un contenuto modale fatto di affettività stretta e il testo a deissi indefinita: insomma i poeti dell'Ici, tra denotatum e ambivalenza della Sicht e dell'aspetto, hanno la coscienza infelice di una biografia sentimentale meccanizzata.
Comunque, il libro ha una certa
utilità per il Lafcadio Incaricato, ammesso che riesca a scoprire dove sta di
casa l’erede principale e universale di Casa Raboni che si fa fotografare da un’agenzia
fotografica seduto impavido in mezzo
alla strada, seppur del tutto deprivata del traffico automobilistico.
Meraviglia che un libro di Case
di poeti non sia pubblicato dall’editore massone e mattonaro assoluto che aveva
come suo ministro quello della casa “acquistata” a sua insaputa, che pubblica
viepiù fior di poeti e lo abbia pubblicato invece un piccolo editore che appare
in più di una lista dei cosiddetti editori a pagamento[guarda qui alla lettera “P”:$ liste-editori-a-pagamento-e-doppio-binario
]. Ma a pagamento da parte di chi? I
poeti non erano una volta gente che non poteva comprarsi nemmeno la carta per
scriverci la poesia? E allora, stando così le cose e le case, chi son ‘sti
poeti a casa? Sono parenti di Anna Maria Ortese o di Lalla Romano, quella che
ebbe il marito che aveva quella casa a Rapallo da cui sfrattò le sorelle
Ortese?