• Mennea e il segreto del solstizio con lo schema a quinconce

 


Mennea seno  del solstizio e la corsa con lo schema a quinconce


Oh quante volte   Pieretto Mennea ed io
abbiamo discusso sul libero arbitrio e sulla velocità
la mia metafora favorita era la mucca di mia Nonna dello Zen
tenuta legata, la mucca, nell’aranceto, e libera, come si sa,
nella misura consentita dalla lunghezza della fune.
Un giorno mentre al solito si discuteva, guardando
la mucca che tirava la fune per spingersi oltre
la curva da cui come al solito Pieretto veniva fuori
e già col dito alzato
“Cos’è questa, velocità o cos’altro?”
disse Mennea correndo verso il traguardo.
E’ che la mucca ha la corda che non supera la curva
né ha il carattere, né la forza d’animo, né la pazienza
e poi ti pare che una mucca conosca il segreto delle stelle-gravitazione, o il segreto del terreno, il segreto della pista,
o il segreto del seme, o il segreto dell’uomo- che semina,
o il segreto della donna, che è il terreno o la pista?
E allora gli chiesi: -Qual è dunque il tuo segreto?
E’ sotto un tumulo che non troverete mai,
oppure sono un cavallo che mi porta fuori dal fiume
se poteva esserlo Wa-Tho-Chu perché non dici a me
“Sei Mennea
e non abiti la fuga
la bestia della contemplazione
la sorpresa del troppo
se palpiti non sei  vento del mare
che corre come un lampo di luce
segreto dietro la notte”[i]?
Perché sei Mennea
eroe dell’estate
là nell’altrove del domani
sogno del deserto, pianura infinitamente
ferma
o silenzio prodigioso o tempesta diurna
fantasma che galoppa o fiume del vento
seno del solstizio luce tesa come un’idea
o lato del sole
fin quando ho visto l’invisibilità e l’inafferrabilità
di ciò che ci fa muovere
ed è rimasto lo stesso un enigma
così come senza gravità io guardavo fuori
ed ero sulla pista là a lato dello stadio S.Vito di Cosenza
col nome di un altro e in alto incollato sulla volta celeste
quel quinconce in un deserto di solitudine
senza che il richiamo del tarabuso unico in tutta la natura
e simile ai toni più bassi del fagotto,
che ho udito in quel mezzogiorno col nome di un altro
che mi aveva dato Patajoshë[ii]
e avrei dovuto vincere i miei 60 metri piani con quel nome
e dargli la medaglia del mio quinconce
dopo aver toccato lo zenit che volge alle tenebre
come disse Thomas Browne nella sua scienza
che prevede la scomparsa nell’oscurità
e che non è un arco la storia di un individuo
o di una collettività o del mondo intero
e disse che Baldanders si presenta come una statua di pietra
non solo distesa in mezzo al bosco ma anche a Barletta
nei panni di Eraclio e lungo una pista sparì nell’oppio
del tempo dentro un sole che adesso che è venuta la primavera
non avrebbe avuto la diagonalità di Saturno e nemmeno quella di Urano,
di questo son certo che col passo a quinconce,
che, se fosse stata Sandra Alexis a passarmi davanti
in via Micca a Torino sarebbe stata di bolina stretta a 30°
tanto che per i 180° dell’angolo piatto all’orizzonte
c’è la differenza dei 150° dell’aspetto del quinconce[iii],
è sorprendente come si conservi a lungo nella memoria
dell’uomo quella corsa tua infinita come se girassi attorno
senza posa al meridiano e fossi tu l’oggetto a del poeta,
a cui Patajoshë, per non farlo correre dentro il suo quinconce,
gli cambiò il nome, ma si arrampica in alto e punta al cielo
dentro la curva di Mennea senza che la mia corda della mucca
si impigli più al melograno, o al gelso, o all’albero di fico
o a quello del nespolo per il cui schema a quinconce
sono passati gli aratri e le guerre, e crollate dimore,
storie e torri imponenti, e adesso che la corsa è finita
non è come il seme del papavero che senza lasciare traccia
germoglia ovunque ma è nella memoria del poeta
che si distende non sul dorso del ballast ferroviario,
così la corsa di Mennea scende inaspettatamente
su di noi non so più se dentro la pietra di Saturno
pesante quadratura quant’altra mai e perciò pietra levigata
della melanconia lungo il passo, la corsa a quinconce,
sparisce nell’oppio del tempo dentro un sole
che Patajoshë ha oscurato nella primavera del quinconce,
che è nelle piramidi egizie e nella spaziatura degli alberi di melograno
e dei gigli nel giardino di Salomone, nella pigna dei pini a ombrello,
nel disco del girasole, nella spina dorsale degli uccelli,
nel quadrilatero della corsa lungo la linea isomorfa dello schema a quinconce di Pieretto Mennea



[i] Cfr. la n.12 di : V.S.Gaudio, WA-THO-CHU, “La Corte”, Rivista di scrittura teoria e industria,n.12, Mantova estate 1991:pag.67.
[ii] Che avrebbe dovuto, come il richiamo del tarabuso, essere il  demone dell’”Oca Ammaliante[“Pata”, in Shqip, è >”oca”; “joshë” è “ammaliante”, “attraente”]e invece era e fu soltanto un semplice “demonio dell’imbroglio”: Bisxhep-Kopil[leggi:Bisgèp-Kopìl], sì un djal-mashtrim ma un vero “bastardo della bisaccia”.
[iii] Cfr. V.S. Gaudio, Il passo a quinconce di Sandra Alexis Baldanders.La Stimmung con W.G.Sebald sull’anello di Saturno di Thomas Browne, in Letteratura Tedesca 2 su “lunarionuovo.it”  ma anche in gaudia 2.0
 

· [da: V.S.Gaudio, Se fosse stato un indiano come Wa-Tho-Chu…sarebbe stato Mennea] ·