░ Hannah e il mio oggetto "a" capovolto


Hannah alla finestra è senza mutande

Ti ricordi, quando ti ho vista la prima volta alla finestra, ti ho chiesto : “Senti, Pupa, per arrivare in stazione?” e tu mi hai guardato perplessa e, poi, dopo un attimo che a me è parso un’eternità, ti sei girata all’interno della stanza e non so a chi hai ripetuto la mia domanda ? E dopo un po’ di tempo, che a me è parso un’eternità, sei riapparsa così com’eri alla finestra e: “Vai diritto per  cinquanta passi, poi ne fai altri cento verso ovest, badando di non guardare dritto davanti a te ‘chè il sole sta tramontando, e, se ancora non senti e non vedi niente che  possa in qualche modo ricordarti una stazione, puoi ritenerti gabbato”. Ti ricordi quanto ho riso? E tu che mi guardavi tra l’irritato e il costernato, e l’indifferente, avevi disegnato in faccia: “Ma che stupido, sono sicuro che è un poeta, e di quelli che la sanno lunga per retorica ed estetica, non è certo un lirico di quelli che negli anni Settanta ancora catalogava nelle sue antologie quel tal critico  calabro di stanza a Milano”. Avessi avuto una macchina fotografica ti avrei reso irredenta e patagonica, tanto che Jean Baudrillard ci sarebbe rimasto di stucco, e mostrando la tua foto  a un mio amico poeta in quel di Torino avrebbe esclamato: “Dio, quando vedo questi tipi di donne alla finestra, sono sicuro che si chiamano tutti Hannah, altrimenti non potrebbero essere capovolte quando vogliono appurare che c’è corrispondenza tra la loro pulsione orale e la pulsione fallica del visionatore!” E, non avendo la macchina fotografica, ti conservai stretta come oggetto a , dentro la finestra dell’innamoramento di cui scrisse Roland Barthes, e in quella cornice il punctum è la linea orizzontale della tua maglietta e la barra orizzontale della finestra o forse la camicia che, così, mi dicevo, farò presto ad abbassarti i pantaloni e a accarezzarti la barra verticale del tuo podice, e forse, non forse, di sicuro non reggerò all’elasticità della tua carne, perché,si vede dalla faccia che hai, è questo che vuoi, volevi essere toccata dalla mia uretralità, da dove, dall’uretralità, nasce la pulsione scopica e la mia profonda sensorialità di visionatore e di poeta. Ti ricordi allora che ti dissi per il commiato? Chissà che versi ti scriverei se sapessi che scarpe hai ai piedi, son certo che hanno due colori e son di quel tipo con cui mi piacerebbe vederti seduta, dopo averti abbassato i leggings e sotto, non è così?, sei senza mutande.