Francoise Hardy on the ‘Grand Prix’ film set seen wearing co-star James Garner’s helmet, 1966.
La Déesse con il casco
Françou con il casco
è per il poeta fonte di meraviglia, non fosse altro perché, avendola vista solo
oggi con il casco, come è possibile che ne abbia connesso il paradigma di
Hardy-Eriu con la Déesse[i], e allora è proprio
vero, mi dico oggi, che Françou è la risoluzione del mondo, lei con l’acronimo
F.H. [ leggi: efaς ], cancella,efface, nasconde il significato, avendo, nel vento
sotto il cielo, volatilizzato il nome, il significante, di cui, con il casco,
con questa cancellatura o dispersione senza ritorno o di questa copertura della
faccia, efface, cancella, stermina il nome, cosa resterà di questo oggetto a,
che ritrovo adesso con il casco, l’aspetterò qui al mio meridiano e, come
discende dalla motocicletta su cui ha fatto un giro con Moustaki, le dirò Oh,
Déesse, vediamo un po’ se da principio eri proprio un Nautilus, vediamo come mi
incastri, fammi toccare, percorrere i tuoi lunghi solchi di gomma che collegano
il tuo finestrino posteriore alle rifiniture di nickel, fin quando della carne
di legno e di vento, in mezzo alle ginocchia, questo stare nascosto poetico
sarà sterminato, carezza dopo carezza, godimento dopo godimento, fino a che non
resti né risulti più nulla della Déesse-Eriu col casco? La Déesse-Eriu Casquée. O è la Déesse Efas (=F.H.) Casquée ?
[i]
Cfr. questo paragrafo tratto da V.S.Gaudio, Le vent-Hardy:
Mythologie de la DS[Déesse] vs Poetique de l’FH[ Efaς]
Ed è proprio lo schema verbale che il vento di Françoise Hardy fa passare a far collimare la Hardy-Eriu con la Déesse , non fosse altro perché “la nuova Citroën cade manifestamente dal cielo nella misura in cui si presenta da principio come un oggetto superlativo”: così che la Hardy, per farne un “mito d’oggi” nel decennio successivo al decennio delle “mythologies” rilevate da Barthes, ha tutti i caratteri, come la Déesse, di “uno di quegli oggetti discesi da un altro universo che hanno alimentato la neomania del Settecento e quella della nostra fantascienza; la Déesse è da principio un nuovo Nautilus. E’ per questo che in lei più che la sostanza interessano le giunture”. Come la DS19, la Hardy non aspira al ricoperto puro, alla castità assoluta, sono i suoi incastri che interessano di più il visionatore: come, della DS19, “si tasta furiosamente la giuntura dei vetri, si fa scorrere la mano nei larghi solchi di gomma che collegano il finestrino posteriore alle sue rifiniture di nickel”, così, della Hardy, la Déesse-Eriu, il visionatore tasta con lo stesso furore le giunture delle gambe, giù alla caviglia, in mezzo alle ginocchia, fin su, laddove si può far scorrere la mano dove la carne di legno e di vento collega le gambe al finestrino posteriore.Come la Déesse, la Hardy è visibilmente esaltazione del vetro, dei vetri, grandi pannelli d’aria e di vuoto tra cielo e vento,così FH44 può farsi efaς e fare allitterare “efface” se non un “effacé” tronco e quindi una “cancellatura” o uno “stare nascosto”, la Déesse va dentro il paradigma della sterminazione del nome, come il poema che è la risoluzione del mondo, così lei declina, per cancellarlo, il suo nome di Déesse, e, come il poetico che è la sterminazione del valore, lei, con l’acronimo [ efaς ] “efface”, cancella, nasconde il significato, avendo, nel vento sotto il cielo, volatilizzato il nome, il significante, di cui, con questa cancellatura o dispersione senza ritorno del nome o del tempo, non resti né risulti nulla.