Sappiamo, anche se qualcuno ha fatto e fa finta di non
saperlo, che l’essere artistapoeta è un dono, diciamo pure genetico. Non tutti
sono artistipoeti, tanti fanno il poeta. Qui sta la differenza fondamentale tra
gli artistipoeti e i nipotini loro, come in ogni altra manifestazione
d’artepoesia.
Loredana Cerveglieri "Elitès: le città del sole, Alessandria" cm. 70x50 2003 |
Quando si studia a tavolino come iniziare una guerra contro
un nemico, si pensano strategie e tattiche a tavolino per poi riversarle sul
“campo di battaglia”. La differenza tra il pensare una guerra, anche
finanziaria, e il pensare di scrivere poesia, sta inizialmente nel verbo che
dobbiamo cambiare: non si pensa di fare una poesia, ma si sente di dover fare artepoesia.
Non si sente a tavolino, con un piano razionale prestabilito, non si progettano
strategie e tattiche, ma ci si pone di fronte al supporto scritturale e si
attende che il momento avvenga. Se avviene la mano trasporta quello che è
accaduto nella mente e nel cuore sul supporto ancora vergine, lo imbratta e lo
corrompe con parole ed intrecci di parole. Corrompe il supporto cartaceo, o
altro, in quanto materialità, in quanto compattezza che ostacola lo scrivere e
si oppone alla trasmissione immateriale che va facendosi.
La materialità della carta contro l’immaterialità della
parola.
Ecco perché
cancellature, ritorni, ghirigori accanto, straccio del foglio e ripresa della
scrittura. Si deve trovare un punto di connessione tra carta e scrittura, tra
immaterialità e materialità; ecco perché consumiamo molta carta che è materia,
ma nel momento della scrittura si trasforma in quella materialità che disturba
il passaggio delle idee mentali in idee scritturali.
Artistapoeta non ha
nessun nemico, meglio l’unico nemico che può ostacolare l’avvento dell’artepoesia
è lui che può stravolgere mutare capovolgere addirittura quelle parole che a
lui si presentano. Si elimina questo nemico, il più terribile e strenuo, con
l’accettazione di essere, in prima battuta, solo un “traslatore”, un ponte per
i segniparola, con l’accantonare il proprio ego, con il non intervenire nel flusso istantaneo che s’affolla alla
mente, con il fermarlo velocemente in scrittura.
Ma l’io che ha sconfitto l’ego (contenente ogni stortura
abitudine ritualità e che tende a conservare il passato sfuggendo al presente
che s’infuturerà) non è solo ente ricettivo e passivo, ma diviene attivo ed
elaborante una volta che “il flusso mentale” è stato fermato e il foglio non è
più bianco. Allora lo lascia decantare come buon vino, lo discosta da se stesso
per poi, quando sente che è dovuto, ritornarvi accanto e, con la mente il cuore
e il sentimento della Bellezza, vedere come migliorarlo e come renderlo al
massimo consentito a lui, io-uomo, nella coscienza che la “perfezioneartisticopoetica”
è migliorabile, non compibile.
L’artepoesia è un dono che avviene nella nostra mente
intimamente unita al cuore.
Il movimento razionale
(che comporta conoscenza sapienza cultura e tecnica) viene secondo, viene nella
fase del riordino del primo movimento, riordino che può migliorarlo come
distruggerlo, quando l’ego, non spento o morto del tutto, insorge contro l’io e
tenta di imporre la sua accumulata consolidata esperienza, confermata dalla
maggioranza degli esseri che non vogliono cambiare, che stanno bene così, che
pensano che ogni cosa e persona sia statica e non volventesi nello spaziotempo.
Se l’ego riesce
vincitore, non ci sarà artepoesia, ma solo della scrittura che il gusto del
tempo accetta ed onora come poesia, in effetti solo retorica.
Se l’io riesce a
resistere, ecco lo splendore dell’artepoesia a riprova della quale è lo stupore
e la meraviglia del poeta che vede legge sente la scrittura come altro da
sé, come se non fosse sua.
E non è sua, invero.
Artepoesia, se
autentica, è di tutti e tutti possono leggerla secondo loro stessi, possono
trovare altri significati, detestarne alcuni, prediligerne altri, ma saranno buoni
lettori se coglieranno, o si avvicineranno, al significato centrale dell’artepoesia
che l’artistapoeta ha donato all’umanità e all’universocosmo.
Tutti i lettori che si fermano alle proprie interpretazioni,
perdono molto dell’artepoesia insita nella scrittura, non colgono la direzione
che quei segniparola stanno indicando: si fermeranno ad una superficie molto
inconsistente e deperibile. Non vedranno le meraviglie nascoste con e dentro i
segniparola che l’artistapoeta, dopo il primo frastornamento, ha anche lui
capito e ha voluto donare perché altri capiscano. Tutti utopicamente. Se lo
desiderano.
L’artepoesia è capire il desiderio che è dentro l’uomo.
Qual è questo
desiderio, che cosa desidera primariamente, tra i tanti oggetti del suo
desiderare?
Tralasciando i
desideri momentanei e transeunti della vita dell’essere e della società in cui
vive, non interessandoci dei desideri per la sopravvivenza pure importanti,
vediamo che i desideri costanti e forti presenti nell’essere, sono il desiderio
di immortalità e il desiderio di eroicità.
Partiamo da
quest’ultimo.
Che cosa significa
essere eroe se non un essere diverso superiore più bello e più forte dell’altro,
una mitologia di desiderio che parte dall’Inizio (storia e preistoria) e che si
presenta alla cultura dell’essere europeo come Achille e Ettore, per esempio.
In altre culture e civiltà ovviamente cambiano gli eroi, i proto-tipi.
Non potendo essere né
Achille o Ettore, l’obiettivo viene abbassato e si scende sino alla banale
eroicità della quotidianità, che tale non è ed avvilisce l’essere.
Immortalità: ogni essere desidera non morire, desidera essere
per sempre, essere eterno. Quindi o si va contro l’Eterno per invidia e si
perde, dato che moriamo, o al limite si patteggia e allora si vivacchia
tremolanti; molto meglio se ci si concilia con l’Eterno e si tenta di capire quale
sia la relazione riuscita tra essere ed Eterno.
La Bellezza è il simbolo più duraturo dell’Eterno.
L’essere la cerca in ogni
azione.
La Bellezza è il
desiderio costante del’uomo.
L’essere trova maggiormente sentore di Bellezza in quelle
opere che non sono legate alla storia alla moda al gusto personale, nelle opere
che trascorrono la storia il gusto e la moda del tempo, che resistono ad ogni
nuova prospettiva sociologica psicologica, in quanto posseggono quella capacità
di meraviglia e stupore che abbiamo prima visto, e che ci riportano alla
fanciullezza dove le nuvole erano cavalli o angeli, la foresta nugolo di cavalieri,
il mare una flotta di navi: l’essere
sente la Bellezza quando pensiamo che tutto sia bello corretto buono,
addirittura giusto e desideriamo che continui sempre. Utopicamente.
Il desiderio dell’utopia è soddisfatto dall’artepoesia.
Analogia utopia artepoesia
eternità, questi i nodi presenti nel flusso
istantaneo che quando deve si presenta come dono alla mente dell’essere.
Analogia e utopia sono legate strettamente a tal punto che le possiamo trovare
in una sola parola: simbolo. L’analogia è l’impossibilità di dire direttamente
l’esistenza e l’essenza dell’Eterno e quindi è un trick retorico inventato
dall’essere per poterne dire, mentre l’utopia è un orizzonte mitico che ci si
da per poter reggere le insoddisfazioni della vita terrena.
Il simbolo le riassume
entrambe e permette il rivestimento artisticopoetico dei segniparola che superano
l’utopia riversandola in una visione di continuità spaziotemporale, quindi
vicina al discorso dell’eternità, dell’Eterno.
Loredana Cerveglieri "Elitès: le città del sole, Londra 1" cm. 70x50 2003 |
La morte e la vita sono in equilibrio sempre
instabile e sono aiutate a sostenerne la durezza dall’artepoesia.
Dall’utopia all’artepoesia, il percorso dato all’essere per
esaltare la vita conferendole senso e significato, per accettare la morte
nell’artepoesia che traslata l’essere nei cieli infiniti indefiniti ignoti ma sentiti,
dove i confini non sono più, dove ogni articolazione geometrico-matematica è
presente nel minuscolo mansueto semplice potentissimo punto.
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20 Settembre 2013
Ettore Bonessio di Terzet