PASSIONI E SCRITTURA
Una selezione di belle
pagine, quelle scelte da Giovanna Minardi; alcune molto originali nella forma,
nella struttura; altre un po’ meno. Prevale il profumo acre del Messico preindios
sopravvissuto alla colonizzazione dei bianchi, sufficientemente ancora molto
presente. La narrazione però spesso è confusa, con inserti linguistici
superflui, con immagini che prevalgono sulla consecuzione con le parole. È
quasi una sorta di furore, l’ansia del dire, il vomitare ciò che secoli di
sottomissione della donna hanno fatto deglutire, ingoiare. Manca la duttilità
dell’eloquio di stampo anglosassone, il preziosismo prustiano, l’elegia
metafisica della letteratura italiana ottocentesca. Affascina comunque il
paesaggio arso dal sole, brullo, dalle coordinate geognomiche impossibili da definire.
Tormenti, dolori, frustrazioni, rabbia finalmente non più repressa alimentano
le varie diegesi squisitamente di stampo autoctono. C’è in alcune parti dei
racconti una religiosità al confine con l’irrazionale pre-cristiano, frutto
dell’influsso del cristianesimo dei missionari su una radice animistica. Gli
indios vengono visti come esseri subumani, causa di malefici, da aborrire.
Poi c’è la parte colta,
dotta, in cui si avvertono le matrici di stampo occidentale, la scrittura al
servizio della narrazione, niente più aborigeni. Fine dell’esotico, dunque?
Assimilazione di stilemi ormai usurati? Più nessuna peculiarità? In gran parte
è così ma un recupero della verginità di cui si è detto menzionando Nellie
Campobello non guasterebbe. Sopratutto in Italia dove si è conosciuta sia la
dittatura che la guerra civile da cui sorse la democrazia e una Costituzione
tra le più avanzate sul piano dei diritti civili. Purtroppo spesso osteggiati
dalla Chiesa Cattolica.