La borsa della
poetessa
by gaudio malaguzzi
C’era stata
in apparenza quella volta un fatto straordinario, non che la vetrina
fosse in frantumi e lo zaffiro era sparito, e nemmeno che all’improvviso l’editoria
del capitale avesse di colpo abolito la pubblicazione dei poeti dialettali, era
successo che la figlia di un editore ebbe la borsa per seguire un corso di
dottorato e, apriti cielo, chi le aveva dato la borsa era nientemeno la
professoressa poeta, non solo edita dal padre della borsista ma anche dall’editore
massimo della poesia, quello che, nel tempo libero, e quando aveva incarichi
per amministrare in toto la cosa pubblica, si dilettava col burlesque; ma
quello che lasciava attonito il poeta era che di tale poetessa provò a chiedere in giro,
questo fece: che tu sappia, che cos’è che distingue, connota, effettivamente fa
poeta quella donna della scolarizzazione nazionale, ha uno stile particolare, è
maestra di una particolare imposizione del verso, lo stende, lo flette, lo
arcua, che andatura ha il suo step-style? E il poeta fu lasciato attonito, non
c’era uno, nemmeno tra gli addetti ai lavori, che sapesse pronunciarsi in
merito, o che si azzardasse a dire : gli unici indizi sono un capello biondo
trovato nel museo e una dozzina di impronte digitali sulla copertina del libro,
tutte dell’alluce. La poesia, quando te la pubblica l’editore che fa burlesque,
o il padre della figlia che forse ti fa anche la presentazione, allora Mallarmé
che cazzo diceva? Che andava blaterando quando profferiva che un libro si
presenta da solo, che devo premettere, che cosa vuole che le scriva, scriva lei
il suo libro, prenda i soldi, faccia un assegno e la smetta di fare il poeta
clandestino, ‘che l’assegno è tracciabile, a meno che non viene emesso a tua
insaputa, ma dovresti avere un benefattore, uno sponsor, come gli chiese quello
che curava la collana di poesie dialettali alla Marsilio, così gli disse,
poesie dialettali, e invece poi pubblicava anche i poeti che fanno in lingua
nazionale, e allora lui si mise a fare questo poema in dialetto e poi l’amico
gli disse che aveva finito la liquidazione, o il tesoretto, o non so che cosa,
il budget, e quindi se hai uno sponsor e se poi lo presenti all’Università
della Calabria dove che ci vuole presentano tutti i poeti acclarati e
acclaranti e acchiappanti, e il poeta disse all’amico , ascolta, ti ci hanno
mai mandato o ci sei mai andato da solo, e hai fatto prima la prenotazione e il
biglietto hai usufruito dello sconto, sotto le feste, ne fanno delle
promozioni, insomma, datti da fare, cerca di prenderlo quel treno, quell’aereo,
quella nave da crociera, quel calesse e vai a cagare!
La poetessa intanto ha dovuto dire alla figlia del
suo editore che non si fa niente, la borsa se la son presa altri, così va il
mondo, che dobbiamo fare, noi facciamo scuola in barba a qualsiasi postulato di
Ivan Illich, figurati, chi cazzo era quel monaco del cazzo,che, poi, se vai a vedere l'ha pubblicato il mio stesso editore(1), poeta da strapazzo, calabrese fuoruscito e solo nella notte della cultura, io faccio scuola e
la faccio e la farò fare a chi dico io, fosse pure la figlia o la nipote del
mio editore che fa burlesque, che, se è il caso, le faccio dare una borsa al
dipartimento dello spettacolo o delle lingue straniere o quell’altro ancora
della televisione, che anche lì il massimo esponente è sempre chi è dall’ordine
della P(oesia) che è venuto a farsi cavaliere della nazione tutta e di noi
cittadini illetterati e incolti ma laureati a pieni voti con una tesi anche
sulla mia poesia o su “Striscia la notizia”.
(1)Difatti, vedi: Ivan Illich, Descolarizzare la società, © 1970, 1971; trad. it. Mondadori editore, Milano 1972.