Raffaele
Perrotta ama i soldatini e parla adagio ▐
Io so. Ergo sum. So di
essere. Che cosa? Ecco la prima domanda dopo tante asserzioni. Chi sono io che
ho la coscienza di me stesso (Io non ego)? Sarà poi mio o me lo avranno messo o
lo avrò messo io come maschera pirandelliana? Sono Amleto o Pessoa? Io sono tu: dice un proverbio arabo/giudaico/israelo/islamico/cristiano/induista,
prima di Rimbaud. Perrotta dice: l’uomo storico più grande è stato Gesù, dal sotto
della scala universitaria - l’unico
principio inconfutabile da tutte le umanità è quello detto da Gesù: non fare
all’altro quello che non vuoi sia fatto a te. Mi rispose: dici poco.
Raffaele Perrotta ama
i soldatini, la carta sindacale del Quarnaro. Ama Mao e Pound, poco meno Eliot,
quasi niente Auden, molto …….. D’Annunzio anche Heidegger Capasso.
Ha scoperto gli
scritti di Sciacca, gli ultimi.
Mi presentò al Motta
di Genova nel 1981 Carandente che veniva
da Parigi. Poi si trasferì da Venezia a Genova. Università. Dopo Sydney. E
comincio il sodalizio fatto di chiacchiere idioletti progetti effettuali
litigate calcistiche revisioni di Socrate Platone Spinoza Wittgenstein
Aristotele Hegel Kant la pittura la poesia l’architettura i nuovi artistipoeti
, i corsi per giovani e studenti, all’università e fuori. Della cronaca
politica sbeffeggiando le azioni da pupattoli maliziosi riconoscendo gli
avversi. Sempre gentile sempre corretto
sempre pronto sempre in ritardo sempre discontinuo nello stare in pubblico
sempre costante nello scrivere, nel leggere pensare e ripensare ed agire.
Uomo. Falsamente
distratto dalle cose nuove della vita che riporta sempre al proprio indirizzo
mentale in sé ed elabora per trovare i principi del vivere totale, ama Nietzsche
Wagner e la musica “leggera” soprattutto napoletano e Totò. Incoraggia l’intelligenza, attacca la superbia
e la stupidaggine come l’ignoranza dei giovani che così si distruggeranno.
S’incazza quando qualcuno lo vuol prendere coscientemente per il bavero,
studente o personaggio o maestro. Parla adagio e forza sui termini per
offendere senza essere offensivo. Ama la costanza, doppiamente. Costanza del
vivere la Costanza sua figlia una dolce piccola grande indiana. La moglie e il
cane, i cani che porta sempre a far pipì alla notte e talvolta assieme parliamo
di morte di dio di arte di poesia di che cosa fare. Molti studenti tantissimi
lo amano e lo rispettano, per amicizia lo chiamano ancora professore molti gli
danno ancora del lei, pochi del tu e lui vorrebbe tutti assieme e lui in mezzo
ad ascoltare per un poco per poi iniziare manovrando la mano gassmaniana
curvato per girare e avvolgere nell’aria le parole pensate e uscite a parlare
di un breve argomento per ore. Festina lente. Uomo che si carica nel silenzio
ed esplode nella scrittura poetica, nella conversazione dotta, nel dialogo
avveduto e sintetico. Ama Maradona Bene Pantani Coppi e ricorda con piacere suo
padre sua madre e Milano e medicina e gli amici milanesi e veneziani e napoletani.
Tanti ne ha. Viaggia poco, aveva paura di volare a Sydney e non voleva
ritornare in Italia. Riconosce il maestro anche se è stato scorretto con lui.
Si ama non per vanità ma per dovere di conoscenza. Mi ha aiutato e aiuta a
corroborare la struttura di fiducia. E’ un buon maestro che si dice compagno.
E’uomo di cultura, non ama gli intellettuali perché è uomo probo a cui piace la
pastasciutta con a’pummarola in coppa e il vino. Guida ma teme la velocità
quando guido. E’ un grande amico come don Perazzoli. Ha discusso con Mariuccia
su vari temi e nel rispetto altrui non ha mai interrotto il suo cammino. Non
capisco che cosa veda in Heidegger, questo giocatore di parole, trecartista
come il Bollito Oliva, lui Raffaele Perrotta che parla per arrivare alla
parola originaria e originante in continuo svolgersi.
Credo che tra le sue righe
troviamo i segreti aforismi posti dal Perrotta. Tra questi il suo vero che è
uno degli infiniti raggi della verità, non interpretazione.
Ama la propria liberà
e l’altrui. Non l’alterigia e l’ignoranza. Mi segnalò casi di alta psichiatria
per alcuni professori e ricercatori dell’Università. Senza cattiveria con pietà
meravigliata. Stupito che uomini potessero cadere in tal modo. Bisogna stare in
piedi, sempre. Non è facile, ma quando si cammina a quattro zampe non bisogna
stare in pubblico, bisogna isolarsi stare nel deserto. Soli per rigenerarsi.
Sta il Perrotta nell’ortoprassi di un seguace del Nazareno
sul quale e a causa del quale legge ogni settimana i testi neoveterotestamentari.
Uomo di cultura, non intellettuale.
Chi lo ha ascoltato e
chi lo ha letto potrebbe dire che le due cose non si accordano, che sono in
opposizione e contradditorio. Niente di più sciocco. Perrotta quando parla o
discute si dispiega essotericamente, si apre ad un uditorio non propriamente
suo; quando scrive questo muta, diventa altro, gli ascoltatori che non vengono
attratti da suadenze tonali o corporali, ma che devono seguire con il pensiero
con la mente con l’intelligenza appassionata: qui il Perrotta è esoterico. Non
per tutti quindi, ma per chi desidera sapere e capire, per chi non arretra
dinanzi alle difficoltà dei problemi, dell’ignoto del nuovo e del
presente-futuro.
Perrotta ama Eraclito
e il discorso ellittico dei grandi mistici e dei profeti.
In lui tra interno/esterno,
(esotericità/essotericità) non sussiste opposizione, tanto meno
contraddittorietà; interno-esterno sono il recto-verso della persona Perrotta,
uomo-sapiente che si tengono in una sola figura; sono unità, una inscindibilità
sentita solo da chi è attento e non superficiale. Ecco l’autentico Raffaele
Perrotta.
Il suo scrivere è
stato ed è l’incessante procedere della sua intelligente ricerca di come stanno
veramente le cose su questa terra non dimenticandosi di un rapporto più ampio,
più universale. Tutto parte dall’Io trasformatosi dai magmi dell’Ego, Io non
più egotico ma personale che dalle esperienze vissute astrae quello che è utile
alla ricerca stessa e al proprio “ampliamento”, alla propria consistenza che
lega in se stesso e a se stesso l’altrui. L’ampliamento dell’Io ingloba ogni
Tu, ogni altro perché l’astrazione è concreta e riguarda il fondamento comune
di ogni essere umano. Ricostruito integro il proprio Io, Perrotta lo attraversa
e lo ripercorre come uno scanner per affinarlo, ripulirlo di ogni possibile
scoria, opera che si traduce in opera di parola, composta distensione e
organizzazione di parole: la parola contenente le parole. Il superamento della
molteplicità.
Allora l’opera di Perrotta
è opera di unicità, di risoluzione del problema centrale di senso e di
significato che si affacci alla mente e alla intelligenza dell’uomo e del sapiente.
Prima si ricompone l’uomo e secondo il dono trovato, i talenti posseduti dai
geni, si esprime il contenuto e il contenete il significato e il significante
contemporaneamente, sapendo l’artificiosità della lingua come della sua
ineluttabilità per poter giungere al nocciolo dell’atomo-vita, per andare a
vedere come si svolge questa vita tra simboli allegorie metonimie, rituali e
miti ricostruiti secondo l’evoluzione dei tempi, dello spaziotempo.
Le opere di Perrotta
sono lo svolgimento di un libro che a noi appare come libri, sono l’unitaria
visione di visioni collocate sullo stesso piano, sulla medesima linea di
orizzonte dove il passato e il futuro sono compresenti nel presente; dove tutte
le parole che desiderano significare le esperienze del cuore-della mente sono
presentate in una singola e singolare posizione, dove lo scenario è sempre l’oltreorizzonte,
l’aperto infinito sul quale muovono le figure-parola che affiorano all’anima
meditante.
Non sappiamo quanto è
stato donato al Perrotta di visioni che rimanderà a noi attraverso il gioco
convesso dei segni-parola, sappiamo certo che il suo libro equivale per valore
storico e metastorico alle Confessioni
di Agostino, sono un libro per i momenti solitari, quando si necessita di
energia nuova, di maggiore energia per affrontare il proprio viaggiare tra la
vita le vite. Per poi sostenere gli
affronti e le bruttezze di parte dell’universocosmo.
Confessioni laiche dirà qualcuno, ma se il discorso del
Perrotta non è, come pensiamo e crediamo seguendo Duchamp, catechistico ma
poeticocreativo, allora sono confessioni di un artistapoeta, quindi non laiche
né tantomeno sacre, ma opera attinente alla dimensione “divina”, a quella che
una volta sapevamo che cosa fosse e di cui partecipavamo e che abbiamo perso,
ma che attraverso l’immersione nell’opera e il distaccarsene possessivo, ci
conduce alla Bellezza (includente il bello storico) alla soddisfazione del
nostro desiderio di Eterno.
Nell’opera d’’artepoesia di Raffaele Perrotta
il desiderio il reale-utopico la Bellezza sono soddisfatti dalle cifre e dai
simbolismi della parola nella lucida selva di parole, ci spingono a migliore
ricerca, ci meravigliano come la visione della prima luminosa stella.
░ by Ettore Bonesio di Terzet
│ Raffaele Perrotta, Attraverso la cruna di un ago, Roma, Aracne, 2013, e non solo│