di Massimo
Sannelli
Il nome è A-Erre-Ti-Acca-U-Erre. Il cognome è Erre-I-Emme-Bi-A-U-Di. Il
ragazzo si presenta così in Io non sono qui di Haynes. Ammette di avere quasi
vent'anni e chiede se può fumare. Tutta questa scena è in bianco e nero.
Naturalmente questo Rimbaud non è l'UNICO Rimbaud, quello morto, che fu
poeta. È solo una maschera applicata ad un prestanome, cioè un attore: troppo
Rimbaud per essere Rimbaud. È anche vestito da Rimbaud, capite. Come Warhol in
Factory Girl: una statua di cera, che esprime Warhol, troppo Warhol per essere
Warhol. E anche il Giovane Favoloso di Elio Germano è talmente Leopardi – così
esageratamente gobbo, così represso – da non essere più Leopardi.
Ma non ha la voce recanatese, pesante e locale: la gobba c'è, anche troppo,
l'accento non c'è. Alla fine, è un Leopardi per il Delfino: una macchietta per
studenti e italiani-medi, tutto qui.
Una gobba non fa primavera e un po' di ordine non fa una camera; una presa
per il culo non è una ripresa, e – in generale – la rappresentazione sopra le
righe è troppo vera per essere reale. Il vero è mentale e il reale appare, e
chi vive si dà pace, finché può.
Nel Cielo sopra Berlino Peter Falk è solo nella PARTE DI SE STESSO. A Bruno
Ganz dice di essere stato un angelo, anche lui, ed è credibile. E perché è
credibile? Perché recita, ma non cita, non ha le ali ed è straordinariamente
sotto le righe, lui e il suo accento schifoso. Quindi Peter Falk è un angelo,
non è una maschera e non è un'evocazione. L'angelo Peter mi permette di essere
un po' passivo, non intelligente. Mi piace, quando sono uno spettatore, e solo
allora.
I feticci e le maschere sono veri e mentali – e quindi schematici –, ma non
sono reali. Falk è reale. Parlo da una posizione privata: troppo interessata
per essere pura, e troppo antifilosofica per essere pura. È una posizione
strategica, come sempre. E poi basta, ho cambiato carattere. Che cosa
significa? Sono diventato innocente? No, ho cambiato carattere: non scrivo più
in Garamond su questo schermo.