Se si guarda bene il cosmogramma, si
rileva l’importanza dell’ asse II/VIII,
quello della proprietà, dei possedimenti, della sostanza mobile e immobiliare,
ci si chiede, a questo punto della nostra vita dove tutto questo dell’asse
afferente a Petrone, per il comune di
Trebisacce, codice catastale L353, sia finito, visto che il poeta, che dovrebbe
essere erede, stando allo stato di famiglia storico dello stesso comune, non ha
visto un cazzo, dice proprio questo il poeta, V.S. Gaudio, sì proprio lui, a
cui lo stesso comune ha cambiato il cognome permettendo a tutti gli operatori,
provenienti da ogni dove, di sottrargli tutto ciò che compete alla sua
ascendenza e permettendo l’attuazione di un danno genetico, culturale e
biografico di proporzioni indefinibili e costituzionali.
Comunque, restando nell’ambito della
presupposta nonna del poeta, e dell’importanza dell’ asse II/VIII del suo cosmogramma, c’è da aggiungere che, stando
agli studi e alle applicazioni particolari del poeta in materia, lo stesso asse
è considerato l’ asse del culo: con
questo non si vuole affermare che la nonna del poeta fosse dotata di un gran
culo, questo no, era evidente, essendo una brevilinea
ectomorfa che, si sa, avendo un indice costituzionale al di sotto di 52 non potrebbe mai avere un indice del pondus che non sia medio(27-31) o medio-alto(21-26) se non addirittura debole(32-36)[i]. L’ asse del culo, pensa il poeta, va inteso come “presa per il culo”,
nel senso che, vedendo nel suo cosmogramma l’importanza dellì’asse del culo, il
poeta è stato, appunto, preso per il culo.
D’altra parte, se si va per cose
saracene, visto che è nel delta del Saraceno che il poeta viene tenuto
prigioniero dopo che è stato privato del suo nome e dei suoi diritti
costituzionali, la parte araba dei
possedimenti della nonna darebbe come punto sensibile il grado 24.5 che è in opposizione diretta
con Urano, il vettore della sparizione e della sottrazione assoluta. Lo stesso
punto sensibile, nel grafico Ebertin a 90°, è a 45 gradi, quindi in connessione
diretta, con il mezzopunto Cuspide
II(quindi l’asse dei possedimenti e del
culo)-Nettuno-Sole-Plutone-Mercurio-Marte.
Il poeta, poi, ha come punctum
assoluto il punctum Mercurio/Plutone
: la nonna ha la congiunzione Mercurio-Plutone sull’asse del culo e della
sparizione totale dei suoi possedimenti, insomma tutto ciò che faceva capo alla
nonna, faceva capo ma in realtà faceva culo, il poeta col cazzo che lo ha visto(
e il nonno si narra che avesse l’ernia)!
Non è finita: la parte araba dell’eredità, asc. + luna – saturno, cade al punto 65.4, lì, sempre sulla cuspide del
culo, dove tutto sparisce o viene trafugato, tra Nettuno e Plutone, tra parenti
ladri e briganti, parenti veri o acquisiti per virtù e imbrogli genetico
anagrafici. Una cosa strana: questo punto arabo dell’eredità è esattamente in
opposizione con Marte sulla cuspide dell’VIII, il settore effettivo del culo e dell’eredità, e Marte, essendo maestro
dello Scorpione, rimanda alla cuspide della VII e al segno del brigante, come
se l’asse dell’identità della nonna del poeta, l’asse Asc-Disc, fosse nelle
mani di un inventato, costruito a tavolino,
parente brigante; essendo in aspetto con Mercurio-Plutone, sulla cuspide
della II, si potrebbe presupporre nello stato di famiglia della nonna del poeta
un figlio dichiarato tale ma in realtà proveniente da un altro locus e
afferente a un altro utero, o otre, l’utri, si potrebbe dire in quel dialetto, un mistero dell’utri, un mistero dell’utero, o dell’otre, o della
bisaccia, se si vuole, nel mistero dello stato di famiglia storico del poeta. La bisaccia, d’altra parte, è misura agraria antica riferibile all’agro
di Palermo, che è un po’ distante dall’alto Jonio e dal Delta del Saraceno ma
non è questo il topos del ciuccio che vola e del drago, e non si allea a un
certo punto della storia il dispositivo di alleanza del principe nero
condannato come criminale di guerra per i sabotaggi nel golfo di Taranto con il
dispositivo di alleanza, da una parte, di una donna che da lì viene a
insufflargli l’oggetto “a”, e
,dall’altra, con il dispositivo di alleanza di un brigante che forse aveva
un’altra identità nello stato della famiglia(di mia nonna, appunto) che fu
custodita e sorvegliata anche da un tale di Sannicandro?
Se si va un po’ a trovare un senso nel
paradigma dei figli, come punti sensibili nelle cosiddette parti arabe, quello
che c’è di saraceno nella nonna del poeta vien tutto fuori: se si fa la parte araba dei figli maschi, giove +
asc – luna, il punto è il grado 9 della
Vergine, in casa V, la casa dei figli appunto, in quadratura esatta con
Mercurio, che, l’abbiamo visto, fa un tutt’uno con Plutone, e perciò può
indicare un “figlio falso” o “falsificato”, o che non è “suo”, ma anche un figlio plutonico, uno che, ad esempio,
dato per morto fu fatto risorgere con un altro nome, o un ex imbroglione, un
brigante anche,nel regno, e quindi ladro
di identità, nella repubblica, e di eredità; che, essendo il Mercurio/Plutone
della nonna omologo al Mercurio/Plutone
del poeta, sarebbe questo figlio falso il maggior fruitore o espropriatore
dell’eredità spettante al poeta.
La parte
araba delle figlie femmine, venere + asc – luna, si fa presto a calcolarla:
il punto è il grado 1 dell’Acquario,
in opposizione a Lilith e in quadratura all’ascendente e al punto dell’Heimlich: difatti, a vederle le figlie
di mia nonna, uno si chiede incredulo: possibile che queste siano state le zie
del poeta? L’Heimlich, poi, ci inquieta di brutto per come rende inquietante se
non umiliante la connessione tra Freud e Gaudio: si rischia di non farcela più:
queste inquietanti donne possono essere le zie del poeta V.S. Gaudio che porta
il nome italiano del padre della psicanalisi che, oltretutto, ebbe a che fare
con Charcot, quello Charcot che in quel tempo ospitava l’amico Jules Parrot, e non recava il soprannome “Parròt” il nonno del poeta V.S. Gaudio?
Una di queste figlie, che appaiono anche ne Lo
Zen di Mia nonna, era quella delle tre
cozze[ii], diceva che le mancavano
tre cozze e i fratelli le rispondevano che forse alludeva a tre cazzi; l’altra,
invece, era quella della chiave del
giardino dello Zen dell’Arancia[iii]. Non a caso nel
calendario tebaico, al primo grado dell’Acquario, c’è un uomo con un uccello per mano,
che simbolizzerebbe,manco a dirlo, la perdita di beni: difatti, a un certo
punto della loro biografia, si narra che nel giardino Zen abbatterono non si sa
quanti aranci e vennero zingari a impadronirsene con i loro cavalli senza che
nessun addetto al controllo e all’ordine di denominazione ebbe a porvi rimedio
con il suo ufficio. D’altronde, la parte
araba dell’avvenire dei figli(asc + luna – venere) cade proprio su Lilith,
in esatta opposizione con la parte araba
delle figlie femmine: gli Arabi considerano il manazil in cui cade questo punto sensibile di mia nonna nettamente
sfavorevole a coloro che sono caricati della responsabilità di amministrare un
paese o una città o quello che è l’agro delle tre bisacce, anche se in Cina si
trova nella parte chiamata Tche, il Muro Occidentale, che favorisce tutto
ciò che concerne le costruzioni in generale e principalmente le costruzioni
delle case anche nel settore a vocazione agrumicola chiamato, nella Carta d’Italia,
foglio n.222, IV S.O. anno 1949, dell’Istituto Geografico Militare, “i Giardini”, dove, appunto, era il Giardino dello Zen dell’Arancia di mia
nonna, il dojo chiamato “vigna”, che,
in realtà, era un aranceto!
Estratto per riassunto dell'atto di Nascita di Aurelia Petrone │Comune di Trebisacce |
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8.L’imbroglio non è
solo quello che si vede
Mia
nonna soleva parlare ai suoi allievi del figlio Faluč che aveva una
falegnameria, lodando la sua conoscenza dello Zen. Gli allievi non volevano
credere alle sue parole e andavano alla falegnameria per accertarsene di
persona. Non appena li vedeva arrivare, subito Faluč si metteva a piallare una
tavola. Non appena andavano via, Faluč smetteva di piallare. Gli allievi
tornavano da mia nonna tutti eccitati: “Davvero, Faluč è un falegname!” Una
volta, però, ci fu un allievo che obiettò: “Non è mica detto che sia un
falegname sol perché ogni qual volta veda uno di noi Faluč si metta a
piallare”. Mia nonna così gli rispose:“L’apparenza è fatta per ingannare; ma
non è detto che l’inganno sia solo quello che appare”.
[da: V.S. Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna[iv],
© 1999]
[i] Cfr. Tavola dei Tipi Morfologici e dell’Indice
Costituzionale e Come calcolare l’Indice del Pondus, in:
V.S.Gaudio, Oggetti
d’amore. Somatologia dell’immagine
e della bellezza, Bootleg Scipioni Viterbo, Rubbettino Soveria Mannelli(Cz), 1998.
[ii]
Ne Lo Zen di Mia Nonna, Lijisa è
nella 17.La dieta delle Tre Cozze: vi
si rivela, tra l’altro, che era “tanto avida di beni terreni per queste
ragioni: la sua casa era affetta da una terribile carestia; Falucc, Maestro
delle 3 Bisacce di Grano, aveva un magazzino segreto ignoto a tutti ma non a
lei, che teneva sempre pieno di grano ma che rispondeva sempre picche alle sue
richieste; la barca di suo marito, il Monaco della Grotta, era in pessimo stato
e non poteva pescare il pesce che avrebbe voluto. Quando Lijisa, dopo la morte
di Faluc, potè accedere al magazzino del grano, non preparò più le 3 Cozze dell’Illuminazione
e, ritiratasi tra le montagne della Sila, fece per qualche tempo la “quadarara”.
Poi, buttò via tutti gli attrezzi, mangiò tre cozze e fece trasmigrare, fatto
starordinario, la sua anima in quella della figlia, che divenne, allora,
illuminata e Maestra dello Zen delle 3 Cozze.”
[iii] 28.La chiave dello Zen dell’Arancia
Sino all’ultimo
giorno che mia Nonna passò su questa terra, nessuno l’aveva mai vista
sorridere. Quando suonò la sua ora, ella disse ai suoi discepoli e ai figli
monaci: “Tutti voi avete studiato con me da una vita. Mostratemi la vera
interpretazione dello Zen. Chi lo farà nel modo più espressivo e chiaro sarà il
mio successore e potrà diventare custode dello Zen dell’Arancia”. Tutti
fissarono la faccia inespressiva della Maestra, ma nessuno rispose. Rosa, la
figlia minore, si avvicinò al letto e portò la mano verso il petto della madre.
La faccia della Maestra si fece più accigliata:”E’ questo tutto ciò che hai
capito?” domandò mia nonna. Rosa tolse la mano dal petto della madre e si
ritrovò in mano la chiave del cancello dell’aranceto Un bel sorriso illuminò il
volto di mia nonna: “ Hai capito che non c’è custode che non abbia la chiave.
Brava, ti appartiene!”
[da: V.S. Gaudio, Lo Zen di Mia Nonna© 1999].
[iv]
De Lo Zen… esiste anche una versione
nel dialetto del delta del Saraceno: Uzzén i Nonnamjë, che fu fatta su richiesta di
Cesare Ruffato per Marsilio Elleffe, a cui , poi, gli si era, tuncu-tuncu, ristretto il budget. La versione dialettale è
dotata di un compendio fonomorfologico del dialetto usato(con considerazioni
sulla doppia valenza dell’accento e la crasi fonologica) a cura di Alessandro
Gaudio e Marisa Aìno. Entrambe le versioni hanno come occhiello: “Al di là
delle filosofie e delle dottrine, le storie Zen assurde e umoristiche di
un’esistenza-dojo piena di arance chiamata “vigna”, che fanno della vita la contraddizione
del suo significato”.
Genealogia del Gaudio ♦ La Petrone del Gaudio
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