spogliandoti
, o semplicemente abbassandoti i jeans,
sulla
staccionata come del tuo nome che
essendo
di legno entra nella frescura e
rigirandoti
in modo che piegata sulla pertica
ruotando
nell’ombra che di traverso taglia
l’orizzonte
del culo, così cambiando l’ordine
scambiando
l’attesa in offerta protesa tanto
che
la minchia gonfia questa anima del
cannone
di qua e di là a fondo valle
enormi
steri ammucchiati di escrementi
solidi
e scuri sparando bordate di wenza toga
sul
verde della tua wima questo abbia prima
della
sera l’ombra piatta del bagnato e
l’azzurro
dei cavalcanti soffochi tra peli e sborra
nella
macchia madida che cola o stilla
sui
bbalbuselli e si spande fino a che arrotondi
i
tratti obliqui dei trenta gradi prima del tramonto
riga
che ha succhi, acqua, rami del verde,
shcuma
di proffia sul legno su cui sfreghi
l’odore
pieno la scrittura della tua tuféra inzuppata
▐ U Togu du Marsianu