La sera di Muttermilch non si può dire
che avesse un campo
omogeneo, difatti
noi non ne abbiamo un quadro e nemmeno
un particolare isolato
e delimitato, un ritaglio
della coscienza mistica
o allucinata, la visione
delle sue mammelle, che
potremmo dire che
fossero di una bellezza
così meravigliosa che
ci è impossibile darne
un’immagine, nonostante
questo l’immagine di Muttermilch è separata
solo nella misura in
cui è articolata o nella
misura in cui noi la
possiamo articolare,
è una veduta, come l’immagine
negli Esercizi
Spirituali di Ignazio di Loyola, che, lo scrisse
Barthes, va presa in
una sequenza narrativa,
la veduta nella valle
di lacrime, in un ospedale
in quella sera da cui
viene tagliato il discernimento
del crepuscolo e quindi
l’articolazione non ha
quasi nessuno dei suoi
schemi verbali necessari:
né suddividere, né
classificare, né numerare in
annotazioni,
meditazioni, settimane, giorni, ore,
esercizi, misteri, né
distinguere, né separare, scartare,
limitare, valutare,
riconoscere la funzione fondatrice
della differenza, c’è
solo il gesto della discretio, che
non è la discreta caritas, è proprio il gesto
della
nostra discretio gaudiana e questo quadro in
cui
Muttermilch che non si sa perché le ho dato
questo sostantivo-archetipo
tedesco, forse
perché il suo nome era
speculare al (-phi)che
ha comunque matrice
freudiana o forse perché
aveva, quella mammella,
l’ agudeza nominal
che produce sì un vuoto
ma ha la somma
ambigua di una annominatio dialettale che
strappa la liquidità
della matrice orale della
madre del latte.
│! v.s.gaudio