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Il tempo ha fermato
il passo sulla soglia.
Attorno è cresciuta
bianchezza a dismisura,
cancro al cielo luna
è l’innocenza
da svestire per non
essere compresi.
D’angolo nell’alto
la memoria tesa
a suturare in
polvere scurendo
accerchiata da un
tango di falene.
Ogni giorno è fiume
a non sfociare nella notte
ogni notte lago a
incresparsi al disincanto.
Ha tracciato di pianto
un gorgo tra le tempie,
bocche enormi
schiuse volteggiando
soffiano tra petali
morbidi di buio
il polline del sogno
tra le pieghe del silenzio.
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In un taglio breve di finestra il vento
rimargina le tende si divaricano
i rami sul sangue secco dei mattoni.
Scagliasti l’ascia contro spine inesistenti
sul corpo scortecciato dall’ascesi di millenni,
dentro come linfa l’essere scorrendo
dal freddo apprese a sciogliere i capelli
in foglie orfane alitate sulle spalle,
anima annidata in punta ai polpastrelli
non a un qualche Dio, non più d’amore,
ma per esorcizzare lo sfiorire carezzando
il gelo dell’esecutore quando il boia
è l’agnello che cantando forte muore.
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Separa le ciglia
perché tutto non è stato
non ha inghiottito
il fango spalancato
i lembi del sudario
che avvolgeva
le costole coltelli
vacillanti nella carne
privata nel
pellegrinaggio alla cappella
volgendo gli occhi
vani a un vuoto d’ospedale.
Non ha segnato sole
il profilo ai crisantemi
sul foglio spianato
in scaglie di finestra
dove luce in un
guizzo cede soffocando
tra le mani
impossibili del vento.
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Non più pietre da
schivare e solo amore,
indurisce terra
attorno alle caviglie
dopo lunghe corse
senza mai poter spiccare
il salto tra le
fiamme di un inferno finale.
Stupisce un cuore
nuovo quest’istante
pedaggio di gioia da
versare sul confine
tra l’ironia del
male e la facilità di uscire
a porta aperta con
le chiavi nelle tasche,
per mesi inutilmente, o anni a tintinnare.
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Scala il cielo muro
mattone su mattone,
chiarisci nella
notte profili di finestra
spiragli di casa
offerti all’indiscreto,
raggiungi edera
testarda ciecamente
l’appiglio ultimo
prossimo alla cima
luminosa in basso
sfioro l’obbedienza
dell’erba che ondeggiando sana le caviglie.
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Sulle strade si gonfiano
le reti dell’aurora,
maglie bianche
dilatate deviano la luce
guizzante contro i
vetri del treno che si apre
sferragliando un
tunnel nell’oceano del giorno
quando il buio lento
è rifluito tra gli scogli
di nuovo sommersi
dalle alghe della notte.
Sulle cime dei monti
al cambio della guardia
con la bruma il
vento a riprendere il tragitto
all’infinito. E alla vita àncora il respiro.
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Raccontami poeta
l’invincibile universo
la possibile
esplosione di una raffica di luce,
il vortice che
appena dietro l’angolo ti soffia
via dal brivido
d’abisso che da sempre
sul ciglio della
notte t’inebria di te stesso.
Chiara De Luca
confinando l’inverno
Poesie 2007-2008
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