‘U trunânte ch’ambrunija. Photostimmung in bn by v.s.gaudio |
Il fuoco è molteplice.
E può nascere ovunque: la sua fulmineità. Non sorprende nessuno che qui o là
sia scoppiato un incendio; ovunque ci si aspetta un fuoco. Ma è la sua
fulmineità ad essere impressionante, e poi a chi cazzo gliene frega delle cause
dell’incendio. Intanto i canadair girano e girano i soldi. Il fuoco è
distruttore. Ma è anche poesia: il poeta Leone, nella sua esistenza temporale,
è quello che più degli altri ha imparato a dominare il fuoco. Molti sono di
origine quadarara, e non solo perché
fanno una poesia ammašcata. Ti accorgi di un poeta quadararo per la sua
misteriosa onnipresenza, come il fuoco: è in tutte le antologie, e specie in
quelle di Bilderberg, che, se vai a vedere, i custodi di queste antologie son
tutti figli di fuochisti e fuochisti essi stessi, hanno a che fare con l’Enel,
i pannelli solari, la gestione del vapore acqueo e della legionella, e son
quadarari di provenienza, dilagano come il fuoco e hanno la sua stessa
immagine: una bruciatura, forte, inestinguibile e determinata. Leonetti, che è,
come nome , in un documento della silva di
mio nonno, che io pensavo che fosse in agro di Francavilla Marittima invece è
nello sconfinato agro della Sila(‘a spaccusa), e allora spesso mi viene di
pensare che quell’Officina che
aprirono, per tutto quel pentolame, u pinzùne, a prangia(che è uno strumento
per unire e incastrare pezzi di rame), ‘a varbotta, ‘a varmitta, a vulla, che è
la fornace e anche la forgia del calderaio, il trunânte d’a varbòtta, il fondo
della caldaia, il mašcherune(che è la catena del camino dove si attacca la
caldaia), e mašcheri è quindi il “maestro d’arte”, ramaio e pouèta, ‘a cucca, manco a dirlo che poi sarebbe
spuntato un custode dell’antologia del capitale dalla caffettiera, proprio con
questo nome-archetipo; e arruffare, come schema verbale, sta per “bruciare”, e
ci furono poeti in quel paradigma come Ruffato, Ruffo, Raffo, Ruffilli: lo
sapete che “ruffu” è il “fuoco” e la “ruffèra” o ‘a ruffara è il braciere, e arruffante
è il peperoncino piccante: insomma non pare che il Leonetti dell’Officina fosse un poeta Leone, Pasolini,
si sa, era dei Pesci, né che Ruffato fosse “surdu”, che fuori dalla
confraternita arruffata, starebbe per “pesce”, anche se lui, il poeta patavino,
era dei Pesci, poi ahi voglia a tirar
dentro, quelli che curarono il dizionario ammašcante, il giochetto tra sorda e
sarda. Il fiammifero è “furminante”, come il fuoco può essere acceso ovunque,
insomma serve a procurarsi il fuoco da soli e ad usarne la forza d’attrazione
per favorire la propria crescita. I poeti del Leone hanno una testa
infiammabile, anche per via dell’istamina. Ma anche perché ha lemmi del
classico fondo furbesco e ammašcante che gli si agitano nella massa del fuoco,
l’abbiamo visto, no?, il poeta Leone ha la fissa della massa del fuoco, e
magari non fuma nemmeno, ma è come un
indiano Navajo con la sua danza del fuoco: un poeta Leone che si
rispetta, fra il tramonto e l’alba prepara un gigantesco fuoco per
rappresentarci ritualmente undici atti diversi. Danza il fuoco, diviene il fuoco. I suoi movimenti sono
quelli delle fiamme. Fuoco è anche “russu”1, fiammiferi in mano, fossero
anche quelli della Rosselli, che lei, Amelia, era dell’altro segno di fuoco, l’Ariete,
e incendia tutto, è incendiato lui stesso, alla fine soffia via dalle ceneri le
ultime faville fin quando il sole sorge: il sole si riprende così il fuoco che
gli aveva affidato al tramonto. E’ lui
quello del Justrusu vrušente,
il giorno che brucia, il solleone, ‘u
puèta du Justrusune, tra ruffu, suparuffu, portaruffu, ruffara, menzu justrusu,
è dentro la silva, ma gli hanno segato tutti gli alberi, sta sempre con la
cucca in mano a fare caffè e il custode ‘da cucca2 lo tiene fuori
dall’antologia scolastica, sarà perché ha pure la fissa del marsianu3, che, come massa, nei cicli educativi, non è
permesso nemmeno agli scolari più attempati, fa testi fulminanti ma il
fiammifero o gli si spegne in mano per via del vento o gli scotta il dito
quando dà fuoco allo zampirone quotidiano.
1Russu, in quanto “rosso”,
“sangue”, “fuoco”, abbinato a “ruffu”, Dauzat lo dà anche per gli argot
franco-provenzali.
3 Qui pubblichiamo una
poesia del poeta du justrusu vrušente
in ammašcante, naturalmente attorno alla massa del marsianu e anche al trunânte,
che sta per fondo, il culo della varbòtta.
tanto è alto stu riguardo che a 14 gradi du Liune(...) |
(…)
12 bis.
tanto è alto stu
riguardo
che a 14 gradi du Liune
ti passo e ripasso
menz’u culu
prima di intignare
improprio
in ‘sta lustra da’
strocca indignata
u justrusu ca è a 14
gradi du picciune
furguwunijo menz’u culu
cugnâvutta e ddrugu ca
‘ncuttunija
caè ‘na cawizza è cawin
e chignazzu
rusticu grânnaru
varmitta i Parrott
ddrugu ca t’intigna alla 14 insellata
supr’a cuffa a scecâme
aperte
ti minto u ‘mbrogliu e
menzu int’u trunânte
santusa mia e marmura
t’infarcuno a 40 ‘ndrugate
e doppu ti faccio
mintifice int’a pitta ‘e sòsu
scibbiunando a rârica e
filice
ca ti fa di sivusu u
pinzune da Turra Mellaro
oh marmura mia e
murfusuna impacculâta e wenza toga
!da→’U Togu du Mârsiânu© 2007 v.s.gaudio,
la stimmung con jean-pierre faye
da Cuccù n.21 Masenghini, Bergamo 1987 |
La carta del Leone nel Cuccù della Masenghini |
Il Bragon XIIII è compresa tra le tre carte(le altre sono X e il Cucco) che ha il privilegio di prendere chi coppa |
2 Nel gioco del cucco, in cui il cucco fa il massimo, cioè XV, come se fosse il numero del tarocco
del Diavolo, c’è anche il Leone, che sembra, sputato sputato, il Leone del justruse vrušente, il Leone del solleone!