Christian Bouthémy ░ Camminanti

CAMMINANTI 
Christian Bouthémy


            


A) MOBILE


1)         La via Offenbach. Noi non la conoscevamo senza la zona dopo il Juke-box. Offenbach era per noi il tempo necessario per andare dal macellaio a casa nostra. Eravamo di famiglia e là in alto, i baci prendevano il tempo del servizio.
           
            Dopo l’angolo dritto, comprare velocemente, là in alto il banco, la costata di vitello.

            Io, di questo mondo, piccolo che guardavo, noi non eravamo una grammatica che si dimostra, giusto un bambino che uno non dimentica. Avevamo dunque fatto dieci metri ritornando da me.


2)         C’è pena senza maestro, che è la storia che non sanno. Che ti dicono che sono scappato da questo mondo che ti riprende in questo catalogo che essi cercano ancora. Noi non abbiamo fatto che dieci metri, quello che, per alcuni, che sono alcuni, deve accordarsi a dieci volte il tempo di essere.


1 bis)   E che dopo aver saputo se io ero, sito, piccolo, mi si serviva per la moneta. E sapere, io la moneta a limatura sapevo appena contare, quello che contava era che si suonasse alla Maison.

            Appartato: Alla partenza del percorso, altri, dall’altro senso, calpestano un marciapiede che non è il mio, a meno che una traversa li renda liberi dall’obbligo.


2 bis)   Nella discesa lenta da quella strada, di cui la storia modifica il barcollamento, dalla strada non asfaltata alla pavimentazione del marciapiede nel divenire, si ferma lo sguardo su qualche gru indicatrice che il percorso si dimenticava di noi.

            B) DIECI METRI AVANTI VENTI METRI PIU’ IN BASSO


Esposizione: sole appaiono le fondamenta.

1)         E’ tardi, testo presto, l’uomo ultimo, il pretesto tardivo all’inizio.

            Solo come sul marciapiede appena restituita la moneta. Ci vuole la lentezza del marciapiede assente per immaginare la falce che sobbalza dietro al passo.

            Poi, anche loro, diventano grandi, edifici. Il marciapiede avanza, non si cammina più nel mezzo, di che cosa prima dell’asfalto.


2)         Io scrivo, mancino, nel punto delle pagine come mi inventai a sinistra il marciapiede lastricato per non liberare, questo fuori limite, in questa intenzione la verticalità del cammino dritto da a casa mia.

            Semi-parole: “Bevuto ancora un bicchiere davanti alla linea, non serve a niente giusto potere senza scopi, per essere l’altro lato del marciapiede che non esiste. Non lo specchio, la frantumazione a venire.”

            Parola: “Questi venti metri hanno scacciato i dieci metri”.


1 bis)   Io non crescerò; e questo stile di oggi merita questo! no! furfantello per applaudire l’acquisto. Questo! Le vetrine gli occhi che brillano, gli studi niente. Una stilografica a terra, sconfitta.





            C) NIENTE QUARTIERE





1)         Poi il ricordo testimonia. Indica un treno inventato, la campagna napoleonica, campagna è guerra senza quartieri.

            Il quartiere sa oggi ricordare dell’odio. Quartiere, alberi, arbusti, siepi prima, ormai cuadrilla, quadriga, taglio.

            Bisogna salire venti metri, per i quattro muri del parrucchiere turco, ma la macchinetta è meccanica.

            Lo si crede della nostra ultima età, quello davanti a ciò che noi siamo.

            Lui ha sofferto, in quello che siamo siamo già spariti.


1 bis)   Noi non sopportiamo pìù il banco da macellaio dai dieci padroni al contatore delle pavimentazioni del marciapiede.

            Dalla fila fedele al pezzo di carne, risultato invalido a rendere rosso a casa propria, dalla traversata dell’acquisto alla digestione.

            Questa carta da macellaio, al giallo morto di paura, che prevede la battuta della matita grassa.

            Già oleoso affinché la carne sembri grassa.




            D) E’ STATA DIMENTICATA LA SALITA


1)         Eh sì, sempre l’incomprensione di sé.

            Ordinazione della madre al macellaio, dapprima. Questa mancanza di libertà sfugge.


1 bis)   Prima dell’acquisto, la richiesta, dopo la richiesta, l’ordinazione, infine prima di tutto l’obbligo.

            Noi, là in alto, Babele delle incertezze. Eh tu, lezioso, prima macellaio.

            Appartato: Un giorno gli occhi all’altezza del sangue secco. I cervelli gemelli mi fiutavano. Quale?

                         Niente. Già il fegato.


2)         Eppure ci si consegnava durante la scuola, ma bisognava essere appeso. Penzoloni la corda la salita, l’acquisto preparato della scelta, il riscatto della dimenticanza, lo sputo dell’impiccato, il gusto del bacio.

                        Poi:

                                   La discesa. La lingua perduta.


II


1)         Via è differente da strada. Via è là dove ci si ferma. Strada là verso dove si crede di fuggire. Senza sosta riferirsi all’obbligo, questo piccolo patio che sa tutto di noi.

Conoscere lo scricchiolio prima dell’erba, prima sé di quelle che ci convengono.

Questa fedeltà, dallo scricchiolio all’ignominia, ogni giorno questa via la imparava, che io mi rimproveravo la linea dritta, io ero fiero della distanza tesa all’avvicinamento, da rifare ogni giorno fino al rimprovero.


2)         Il boschetto

Questa storia di alberi mi è sgradevole. Questa tenuta immobile era il cammino dritto verso la dimenticanza del letto. Oggi pomeriggio vestito, l’altro spoglio, in nessun caso causa di questi occhi che io accordavo alla lunga via del ritorno.

Boschetto termine sanitario per una via terminata, stretta in un senso unico - povera nello scambio, perché io solo ho scoperto il garage in cui pisciare a mezzo luogo.

Una strada che protesta per la solitudine dei propri luoghi, che non sopporta i rari inquilini fedeli.

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