1. Mi sembra che la poesia di Giancarla Pinaffo abbia una certa frequenza, che è questa la sua marca, più che in qualche modo, della preposizione ‘d lou, anche: da lou ; da la, che ha lo stesso movimento simmetrico-intransitivo di de e des, nel francese antico, e lo stesso “de” provenzale[i]. La relazione simmetrica ha sempre proprietà opposte: bilateralità, reversibilità, riflessività; la relazione intransitiva indica invece un punto non oltrepassato, e siamo nel campo delle possibilità, potenzialità; messe insieme, si può ottenere uno stato perfettivo bilaterale o reversibile.[ii] Che, mi pare, è, può essere, la forma peculiare del suo stile.
1.1 Già dalla semplice preposizione bilaterale e intransitiva, ci si porrà l’interrogativo sulla scelta dei poeti dialettali, in genere, come se “scrivere” fosse come il “Voler-Scrivere” a cui Barthes dà un’apparenza intransitiva[iii]. Che cosa fa chi scrive nel proprio dialetto? Costringe il proprio fantasma in un tipo, che sia, deve esserlo, più forte dell’interdetto. I fantasmi “sottili”, “originari”, se andiamo ad analizzare, esistono sempre in qualsiasi poeta dialettale, in alcuni con una marginalità quasi indicibile; in altri, che usano un dialetto ancora più gergale, direi, il fantasma viene quasi fatto apparire, in più poesie, in tutta la sua indicibilità, ed è così che passa all’ordine letterario.
1.2 Allora, il fantasma di poema, o di poesia, anzi più è breve, più è speculare a una specie di haiku e più il fantasma si mostra nel suo fulgore indicibile, e nell’apparizione, l’immagine, per funzionare, deve restare allo stesso tempo un’immagine grossolana e codificata.
1.3 Con la pratica poetica dialettale, che va di pari passo con la realtà contestuale, e a cui, allo stesso tempo, ci si deve opporre, cosicché il fantasma si perda come fantasma e raggiunga il Raffinato e l’Inaudito.
1.4 Andréllia e la xéxa, la falce fienaia, la mano, la lentezza del rintocco del battaglio della campana, il voler scrivere della Pinaffo, nel suo patois, raffinato e anche inaudito è questo prendere l’espressione nella sua forza desiderante: che Barthes intende in relazione ai fantasmi, anche a quelli detti sessuali. Un fantasma (sessuale)è nello scenario con un soggetto, il poeta che scrive, e un oggetto tipico(una parte del corpo, una pratica, una situazione): questo diventa come fantasma di scrittura, e l’io, metti che scriva appunto nel patois francoprovenzale, lo riproduce, lo svela, come “oggetto letterario”.
1.5 Si può ritenere che più è breve il poema, il componimento, più il fantasma(di poema o di poesia) è grossolano, sottomesso a una tipologia molto grossolana; nel campo della poesia dialettale, in verità il fantasma è ancora più grossolano per via del raddoppiamento(della parte del corpo, della pratica, della situazione) con un altro sostantivo-archetipo.
2. Il fantasma, come un’energia motrice che mette in marcia, ma ciò che essa produce è un fantasma di scrittura che serve da guida alla scrittura, come se ne fosse la guida iniziatica.
Che,
dentro la poesia dialettale, ha la materialità dell’haiku. In più, nel patois
della Pinaffo, si dà a vedere come l’haiku giapponese, che è una lingua
fortemente sillabica; e anche nel patois della poetessa, le sillabe sono
pulite, ben posate; e, in questo discorso poetico, mi tocca, mi concerne, anche
se inizialmente è dentro l’enigma che mi viene da una lingua molto straniera, o
quantomeno strana, insomma mi incanta come sia così materiale “lou batàlli ëd la chiòca ou-bat pu adazi ëd la sou.a mån, nhun, coume Andrèllia ou-sath-martlà la xéxa”[iv],
e lo è di più poi perché mi viene raddoppiato nella traduzione, e così sono in una situazione di familiarità del tutto paradossale: prima sono in una situazione di esclusione, come Valéry a Praga: “Sperduto all’estero nella lingua ignorata”: poi, mi risulta umano: è il fantasma di scrittura così grossolano e al tempo stesso raffinato e inaudito, e, perciò, è la congiunzione di una verità e di una forma. Ma è una forma la poesia dialettale della Pinaffo? Piuttosto lo è di più quando è nella brevità, e nell’immediatezza, dell’enunciato, che è il suo incorniciamento, in una situazione, dice Barthes: la Forma breve è un induttore di verità[v]: ed è di questo che abbiamo la sensazione quando leggiamo una poesia della Pinaffo, malgrado tutte le distanze del patois e della struttura poetica, non solo per via dell’incipit preposizionale simmetrico-intransitivo.
e lo è di più poi perché mi viene raddoppiato nella traduzione, e così sono in una situazione di familiarità del tutto paradossale: prima sono in una situazione di esclusione, come Valéry a Praga: “Sperduto all’estero nella lingua ignorata”: poi, mi risulta umano: è il fantasma di scrittura così grossolano e al tempo stesso raffinato e inaudito, e, perciò, è la congiunzione di una verità e di una forma. Ma è una forma la poesia dialettale della Pinaffo? Piuttosto lo è di più quando è nella brevità, e nell’immediatezza, dell’enunciato, che è il suo incorniciamento, in una situazione, dice Barthes: la Forma breve è un induttore di verità[v]: ed è di questo che abbiamo la sensazione quando leggiamo una poesia della Pinaffo, malgrado tutte le distanze del patois e della struttura poetica, non solo per via dell’incipit preposizionale simmetrico-intransitivo.
2.1 Si può dire: nella poesia dialettale, la forma, e la sola forma, fa toccare la verità? Potere tattile della forma: toccare la parola, lo schema verbale doppio e sillabico: “ou-sath-martlà la xéxa”:→”sa martellare la falce fienaia”, il verso?
2.2 A differenza dell’haiku, che viene tradotto da un traduttore che ce lo mette, lo trasla, nella nostra lingua, nella poesia dialettale è il poeta stesso che ci traduce il suo patois: la Pinaffo ci fa percepire lo stesso metro, quasi la stessa misura, anche il ritmo sillabico che c’è nel suo dialetto: e quindi è come se avesse lo stesso ritmo e quindi la stessa funzione sensoriale, la stessa formula, la mano di Andrea è integrata alla falce e al battaglio della campana, come se la separazione dell’immagine, che è interdetta nella situazione in cui si dà come fantasma, così rimessa in lingua facesse cessare la sua separazione. Più che nell’haiku, il fantasma di poesia qui è da solo, nella sua interezza, nella sua finitudine, nella sua solitudine sulla pagina è come se formasse un ideogramma, cioè un paradigma-archetipo, connettendo la falce, la mano, il battaglio della campana che rintocca più lento della sua mano quando maneggia la xéxa, è un’operazione di linguaggio, che più che avere una tesi predicativa, ha, appunto una materia e uno spaziamento del cosiddètto “fantasma di scrittura”[vi]. Certo, è pur vero che, all’origine, la poesia dialettale, se aveva un fantasma di poesia, questo poteva essere solo detto; scritto, lo si vede, ha tutta un’altra voce[vii].
3. Il Voler-Scrivere e il “non poter dir niente”: l’evocazione, la visione[viii], vale a dire ciò che va reso leggibile, è l’incanto di questa poesia dialettale, è come se in qualche modo avesse la stessa “pulsione” irresistibile di haiku che ha, secondo Barthes, questo desiderio folle di fare della poesia: questo desiderio folle di fare, del proprio fantasma di scrittura, che viene più che evocato, ri-formalizzato nella poesia dialettale, perché è un fantasma linguistico, che è stato fatto tra metro e codice del proprio Esserci, del proprio Dasein, per questo può essere dispiegato, e pertanto ricostituito, addirittura rimaneggiato. Quel fantasma ha adesso, nella poesia fatta col proprio patois, una doppia forma che costituisce a posteriori in ricordo, in emozione, in intelligibilità.
4. Il referente della poesia dialettale, se vogliamo dirla tutta, è sempre qualcosa di particolare: quindi, dentro, o sotto, il cosiddetto fantasma di scrittura e, in superficie, il referente: nessuna astrazione, oppure l’astrazione assolutamente purificata che valorizza la contingenza affettiva, il poeta dialettale divide la Natura, non l’astrae. Dentro questa sua arte del contingere, che è l’imbattersi, l’arrivare per caso, e invece è sempre lì attorno che coabita in ogni immagine, un ricordo e quindi una visione, sembra che stia sempre in un unico istante, o è forse una voce, l’abbiamo già evocata prima, o un rumore, ciò che sopravviene attorno al soggetto, che mette dentro la circostanza il suo fantasma di scrittura, lo rende “circostante”, come se volesse tener vivo, alla maniera dei dieci vecchi montanari, déz vìelli ëd mpuntanhi, il patois locale, lo s.chiàx( leggi: s.ciàs)[ix].Il sostantivo-archetipo, nella poesia dialettale, che supporta il fantasma di scrittura ha per referente una cosa concreta, un oggetto, insomma siamo nel paradigma dei tangibilia, che sono freschi e dunque forti, disse Barthes, e, se si tratta di retorica, la figura d’uso è l’ipotiposi: sentite cosa dice Barthes a proposito della micro-ipotiposi nell’haiku: “vi è dunque, nell’haiku, come un germe, una virtualità del fantasma= scenario breve, inquadrato, in cui mi metto in stato di desiderio, di piacere progettato”[x], e poi via con i fantasmi prospettivi, e se non sono tangibilia, non vi è ipotiposi. Insomma, è una questione di percezione, io direi di identità di percezione: forza della visione, di quadro, con un suono tagliato, una sorta di sordità misteriosa dell’immagine che è resa opaca; dirottamenti di circuito, una metonimia eterogenea: dal suono al tatto, dall’odorato alla vista; e la sinestesia e anche la demoltiplicazione sensoriale. È con queste tre modalità, andate a vederlo, che la Pinaffo attua il passaggio dei suoi oggetti sensuali.
! v.s.gaudio
[i]
Già Emmanuel Portal ebbe a scrivere che” i vari tipi di preposizioni si
riferiscono ai rapporti che esprimono. Di causa: pèr; di tempo: dins; di
luogo: à; di scopo: pèr; di maniera: emé; di mezzo: pèr;
d’ordine: après; d’origine: de; di possesso: de; d’unione: emé; di separazione:
sènso; d’opposizione: contro. Le più importanti sono: à(che si trasforma in en davanti le vocali: vau en Ais), cha(senso duplicativo: à cha
un(a uno ad uno), contro(contro e
accanto), davans(avanti), darrié, à rèire(dietro), de(qualche
volta significa su e per), encò de, vers(è lo chez francese), entre(tra),
pèr(per, per mezzo, attraverso), sèns o sènso(senza), toucant(verso,
vicino), vers(dal lato di), après(presso), dins, dintre(in,dentro), desempièi, despièi(da), durant(durante),
mau-grat(malgrado),permièi(fra). Riunendo varie parole che
agiscono come preposizioni si hanno le locuzioni prepositive: à causo, à coustat, à prepaus,
ecc. Nel Nizz.(ardo) si usa la preposizione da
presa dall’italiano.”→Emmanuel
Portal, Grammatica Provenzale, Ulrico
Hoepli, Editore Libraio della Real casa, Milano 1914.
[ii]
Cfr. Viggo Brøndal, Teoria delle preposizioni, trad. it.
Silva, Milano 1960. Vedi anche: V.S. Gaudio, Come si legge la poesia dialettale, in “gaudia 2.0”→ 2013/05
[iii] Cfr. Roland Barthes, Fantasma di scrittura, in Incontro
del 2 dicembre 1978→ R.B. La préparation du roman vol.I. Notes
de cours et de séminaires au Collège de France, Editions du Seuil, 2003.
[iv]
Si tratta di Nhun, coume Andrèllia/Come
Andrea,nessuno, in: Giancarla Pinaffo, Cartoulénax.Cartoline,
Edizioni dell’Orso, Alessandria 2019: pagina 76.
[v]
Cfr. Roland Barthes, L’haiku nella sua
materialità, in: Idem, L’Haiku. Incontro del 6 gennaio 1979→ R.B.
La préparation du roman vol.I. Notes de cours et de séminaires au Collège
de France, Editions du Seuil, 2003.
[vi]
Cfr. Roland Barthes, Fantasma di
scrittura, loc.cit.
[vii]
Così la “xéxa” ritorna in Poer qui ou-parlàvount piån=Per
chi sussurravano, a pagina 99 di Cartoulénax:
(…)Li namourà ou-i-l’ånt
balà la Courènta/poer touchéxe li brax pastanù d’istà;/coun la xéxa åan
poenh,/spaventòuz coume tènti S.nhour ëd la Moôrt/ou-i-ånt-prouwà
la testa ‘d lou gal/li fèi, c’ou s’asfidàvount coun lli oelli bindà→Gli innamorati vi hanno
danzato la Corrente/per sfiorarsi le braccia nude d’estate;/con la falce
fienaia in pugno,/terrificanti come tante Divinità della Morte,/i giovanotti vi
si sfidavano ad occhi bendati/per tentare la testa del gallo.
Eppure si deve setacciare le visioni
‘ndinz la moent.
impresse nella memoria.
Separàlax l’oena da l’à.outa,(…)
sceverare le une dalle altre,
d’ixé ‘n sac ëd faréna
di qui un sacco di farina(…)
Giancarla Pinaffo, I
vìntat, Si deve; in Idem, Cartoulenax, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2019:
pagina 102.
[ix] Cfr. Cartouléna, a pagina 73.
[x] Cfr. Roland Barthes, Pathos, in R.B. Incontro del
3 febbraio 1979→ R.B. La préparation du roman vol.I. Notes
de cours et de séminaires au Collège de France, Editions du Seuil, 2003.