La corporeità dell’Artepoesia ™
Noi possediamo una corporeità, quello che
chiamiamo comunemente corpo. Questa corporeità è la parte che muore, che
seppelliamo o bruciamo e che ricordiamo come “il defunto”. In vero questa
corporeità, una volta morta, non è più niente se non ossa.
La nostra sostanzialità
consiste invece nel corpo solido vivente,
quello che ci fa essere quello che siamo veramente. Questo corpo solido vivente
è un corpo interiore che è la sintesi del nostro Io e del Permanente. Se
vogliamo, possiamo dire che è il nostro Io e la Coscienza sintetizzati: questa
parte è la parte immortale dell’uomo che, morta la corporeità, continua a
vivere, ad essere energia e a prolungare eternamente la propria vocazione, la
ragione per cui è venuto su questa terra nostra.
Il Permanente (parte divina) è
ciò che suggerisce all’ Io il da farsi, il senso della propria identità della
nostra vocazione in terra, del significato della vita e dell’operare ed agire
verso noi stessi e gli altri. Se l’Io (parte umana) lo desidera, se vuole
seguire la voce la parola della parte divina.
Gli artisti sono i primi a sapere
e capire che siamo costituiti in tale modo e sanno che la loro opera d’arte è
in parte dovuta ad essi, in parte dovuta al divino in loro parlante. Come la
voce del dolore che trasforma la vita in Ungaretti e il fanciullino di Pascoli.
La libertà dell’uomo consiste
nel far prevalere la parte umana oppure di renderla aperta alla parte divina.
Coloro che la aprono completamente, noi li chiamiamo santi, perché vivono come
esempio del divino, come dovrebbero vivere tutti gli esseri umani. Coloro che
chiudono alla parte divina rimangono “animali” nella scala evolutiva verso il
completamento divino come era in principio, prima della storia. Eravamo divini,
immortali e ne portiamo il ricordo e la memoria, senza sapere che cosa sia
successo perché siamo pervenuti a questa situazione di morte. Ma sappiamo,
molti non tutti, che dobbiamo risalire con fatica materiale e spirituale verso
quello stato iniziale che ci è proprio. Gli artisti questo lo hanno capito come
i santi e coloro che hanno avuto fiducia nella parola del corpo solido vivente.
Certamente anche i santi
e gli artisti sono e rimangono umani mentre vivono la loro corporeità e si
devono distinguere dalla loro opera. Questa è innocente, intoccabile, non
estinguibile, la loro corporeità al contrario rimane attaccabile e degradabile.
Ma l’opera riscatta ogni errore o colpa dell’uomo corporeo. La voce del corpo
solido vivente la sorregge e la preserva in quanto opera dell’uomo che non si è
sentito autosufficiente, che ha capito che necessitava di aiuto, che lavorando
insieme sarebbe
pervenuto al compimento dell’opera. Compimento ancora imperfetto rispetto
all’idea che l’uomo aveva dentro (il capolavoro) e che non sarà mai finita qui,
ma compiuta altrove. Questo sapevano Matisse e Picasso quando concordavano che
dipingevano perché erano alla ricerca dell’atmosfera della prima comunione.
Ma l’atmosfera bisogna trasformarla in idea
altrimenti rimane solo una inutile vuota idiozia. Bisogna saper accogliere un’idea-centrale,
capirla e con i mezzi propri dell’attività scelta, tentarne la realizzazione.
Ad idea-centrale corrisponde significato-centrale attorniato da altri significati.
Necessita trovare i vari significati insiti nell’ opera d’artepoesia per
ricercare il significato-centrale e non addurre significati estranei all’ opera,
per lo più bizzarri e fuorvianti.
All’ermeneutica conviene essere
più attenta eticamente ed etimologicamente.
L’Arte come Dio è
un’idea.
Dio è un’idea completata e realizzata, a
cui occorre una unica parola per una sola volta per compiere un’opera vivente.
Idea che si svolge in autosufficienza e che non sarà mai raggiunta totalmente
dall’uomo che vive anche della contingenza. I santi lo sanno e lo capiscono.
L’Arte è un’idea realizzata non
completata. Ecco perché l’artista sa che deve continuare a creare un’opera
per tutta la vita contingente assieme con il Permanente per migliorare
continuamente l’opera che a sua volta migliora, direttamente e indirettamente,
il mondo. Come sostiene Auden.
Sta qui la differenza tra
l’Artista il Santo e Dio.
Ma il Permanente (che è totale)
non permette alla contingenza (che è parziale) di vincere nella lotta che
l’uomo combatte al suo interno, per cui le opere degli artisti e dei santi sono
quelle che rimangono nella storia del mondo, modello imperfetto ma aprente al
modello perfetto.
L’imperfezione dell’opera
dell’artista (e del santo) non sminuisce la sua importanza per la vita
dell’uomo, in quanto pur imperfette queste opere sono il limite massimo a cui
possa pervenire l’essere.
da:► Ettore
Bonessio di Terzet ► PENSANDO L’ARTEPOESIA
$leggi anche Ettore Bonessio di Terzet
L'utilità dell'ArtePoesia